Parte la stagione 2015-6 al Teatro Stabile di Torino, con due classici di sicuro impatto e affidati a nomi molto amati dal pubblico subalpino e non solo.

Il 6 ottobre, alle 19 e 30, al Teatro Carignano debutta in prima nazionale Vita di Galileo di Bertold Brecht con la regia e l’interpretazione di Gabriele Lavia, per raccontare la vita del celebre scienziato vista con l’occhio del drammaturgo vissuto tre secoli dopo di lui, con richiami alla scienza del Novecento e all’avvento dell’atomo.

A proposito del suo personaggio e del suo lavoro, Lavia dice: Brecht pone una domanda: che cos’è la verità? la risposta è: l’essenza (la possibilità) della verità è la libertà. Non si può trovare la verità se non a costo, duro, difficile, doloroso, della libertà. La libertà non è fare quello che ci pare, è la limitatezza della conoscenza. Brecht è un politico e parla della verità della polis, dello stare al mondo insieme con gli altri. […] Il grande insegnamento che ci dà Brecht è che l’uomo ha il diritto di sapere e di capire. È uno scambio costante. A un certo punto il piccolo Andrea Sarti dice a Galileo: “ma perché vi ostinate a farla capire a me? Sono ancora troppo piccolo! Ho undici anni…” Galileo, cioè Brecht, risponde ad Andrea Sarti, ovvero lo spettatore e la società intera: “Voglio proprio questo! Tutti hanno il diritto di capire! Anche i bambini”.

Al Gobetti, dal 7 è di scena invece L’avaro di Molière, diretto e interpretato da Jurij Ferrini, di nuovo nel Grand Siècle francese dopo il Cyrano, con una commedia di costume dove si ride amaro, metafora non solo del tempo di Luigi XIV, ma anche di cose ben più recenti. Del suo personaggio infatti Ferrini dice:  Arpagone è un vecchio che per egoismo condanna all’infelicità una generazione di giovani, mentre loro tentano in ogni modo di aggirare la sua prepotenza. Guardandomi intorno, osservando il mio paese, i suoi potenti e i suoi sudditi… vedo in tutto questo qualcosa di estremamente familiare.
Per informazioni sull’acquisto dei biglietti visitare il sito del Teatro Stabile di Torino.

Elena Romanello