NELLE GRANDI CITTÀ A RISCHIO UDITO, UMORE E SALUTE GENERALE

Presentato il Consensus Paper “Coping with noise” che, promosso da Amplifon, svela come ci siano troppi decibel nelle grandi città di tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti e in Italia. Il “mal di rumore” è associato a un aumento del 30% del rischio di deficit uditivo e a un raddoppio dei casi di disturbi dell’umore, insonnia, difficoltà di concentrazione e mal di testa.

È allarme “mal di rumore” nelle grandi città di tutto il mondo. Infatti, quasi un terzo della popolazione è esposto a un eccesso di rumore: i troppi decibel possono aumentare di circa il 30% la probabilità di avvertire un disturbo uditivo e, inoltre, si associano a un incremento di quasi il doppio dei casi di disturbi dell’umore, insonnia, difficoltà di concentrazione e mal di testa. È quanto emerge dal Consensus Paper “Coping with noise”1 che, promosso da Amplifon e presentato oggi a Milano, mette in luce come il rumore pervada la vita quotidiana di milioni di persone, soprattutto negli Stati Uniti (il 16% è esposto a un livello alto di rumore), in Italia (10%), Francia, Gran Bretagna e Portogallo (7%).

Il “mal di rumore”. Può stressare il sistema cardiovascolare, avere un impatto sull’umore, portare a disturbi del sonno e danneggiare l’udito. Il rumore finisce così sul banco degli imputati: per gli esperti siamo di fronte a un vero e proprio “mal di rumore”, un caos sonoro invasivo e persistente che può mettere a rischio la salute generale dei cittadini. Alcune indagini considerano il rumore un fattore di rischio cardiovascolare: si calcola che la semplice riduzione di 5 decibel sarebbe sufficiente a diminuire la prevalenza di ipertensione nella popolazione dell’1,4%, mentre quella di coronaropatie e infarti calerebbe dell’1,8%. In Italia, ad esempio, questo “risparmio” di decibel potrebbe portare a 200 mila ipertesi e a 2 mila infarti in meno. Inoltre, dal Consensus “Coping with noise” emerge una “correlazione pericolosa” tra il rumore e alcuni disturbi fortemente debilitanti: circa il 30% delle persone esposte a un livello alto di rumore lamenta infatti un disturbo dell’umore (irritabilità, umore instabile, nervosismo e preoccupazione), insonnia, difficoltà di concentrazione e mal di testa contro il 16% di chi è meno esposto al rumore. In pratica, all’aumentare dei decibel si riscontra una crescita di circa il doppio dei vari disturbi. Infine, un elevato livello di esposizione al rumore aumenta di circa il 30% la probabilità di avvertire una qualche difficoltà uditiva.

“L’esposizione al rumore – spiega Giancarlo Cianfrone, Professore Ordinario di Audiologia e Direttore del Dipartimento Organi di Senso, Università degli Studi di Roma La Sapienza – può danneggiare le nostre orecchie. Si tratta di danni anatomici e funzionali, che dipendono dall’intensità del rumore, dalla durata dell’esposizione e dalla suscettibilità che ogni persona ha nei confronti del rumore. In pratica, un eccesso di decibel può compromettere lo stato di salute delle strutture sensoriali e neurali uditive. Infatti, quando si ha un’esposizione nociva o rischiosa al rumore, le alterazioni che si registrano coinvolgono in particolare, in maniera più o meno vistosa, il neurotrasmettitore Glutammato e i processi deputati agli scambi biochimici tra neuroni sovra cocleari. Da questa situazione di sofferenza possono generarsi le condizioni per una perdita uditiva provocata dal rumore e, a volte, anche di due altri fenomeni uditivi: gli

1 Il Consensus Paper “Coping with noise” è il frutto di un tavolo di lavoro multidisciplinare che ha valutato criticamente i dati di una recente indagine GfK Eurisko (8800 persone di 11 Paesi) e li ha integrati con una revisione della recente letteratura scientifica sull’argomento. Gli esperti che hanno contribuito al Consenus Paper sono: Roberto Albera, docente di otorinolaringoiatria, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Torino – Giancarlo Cianfrone, Dipartimento Organi di Senso, Università degli Studi di Roma La Sapienza – Brian C. J. Moore, docente di auditory perception, Department of Psychology, University of Cambridge – Giampaolo Nuvolati, docente di sociologia urbana, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Milano-Bicocca – Carlo Ratti, MIT Senseable City Lab – Stephen A. Stansfeld, docente di psichiatria, Queen Mary University of London – Valeria Testugini, AIRS Onlus – Associazione Italiana per la Ricerca sulla Sordità.

“Il rumore pervade ormai la nostra quotidianità – commenta Roberto Albera, Professore Ordinario di Otorinolaringoiatria, Università degli Studi di Torino – e il termine socioacusia è stato coniato proprio per indicare un deficit uditivo che si manifesta come conseguenza del vivere in ambienti con un elevato tasso di inquinamento acustico. Già negli anni ’50 gli studiosi avevano messo in luce come la soglia audiometrica, indicativa dell’intensità minima del suono che si è in grado di percepire, fosse più elevata negli abitanti di contesti urbani rispetto ai contesti rurali. Da allora, l’inquinamento acustico è ulteriormente aumentato e alcuni stili di vita contemporanei hanno contribuito ad aggravare il fenomeno. Abuso di alcol, fumo, obesità, ipertensione, diabete e ipercolesterolemia possono infatti accentuare il danno alla funzione uditiva. Senza contare che è molto cambiata la fruizione della musica. Le discoteche hanno raggiunto livelli di rumorosità tali da poter danneggiare l’udito di chi le frequenta abitualmente e per molto tempo, mentre negli ultimi 20 anni si è assistito alla diffusione di massa dell’ascolto di musica in cuffia, con livelli massimi di suono che possono arrivare a 120 decibel. Oggi il 90% dei ragazzi fra 12 e 19 anni utilizza i riproduttori musicali, di questi la metà ammette di tenerli ad alto volume e uno su tre di usarli molto spesso”.

Fratelli di decibel, l’Italia s’è desta. Nelle grandi città di tutto il mondo quasi un terzo della popolazione (il 28%) è costretto a convivere con un eccesso di decibel. Prendendo in esame gli abitanti che lamentano il livello più alto di rumore, l’Italia (10%) risulta essere il Paese in assoluto più “assordato” dopo gli Stati Uniti (16%). Lo Stivale è quindi più rumoroso di Francia, Gran Bretagna e Portogallo (7%), ben più chiassoso di Paesi Bassi e Nuova Zelanda (4%), per non parlare della silenziosissima Germania (2%). Tra le città italiane quella che si fa sentire di più è Napoli (15%): non solo il capoluogo campano batte Roma (9%), Milano e Torino (8%), ma conquista il terzo gradino del podio mondiale della rumorosità dopo New York (36%) e Los Angeles (24%), distanziando così anche Parigi (10%), Londra, Bruxelles e Porto (8%). Le fonti più frequenti di rumore sono ovunque le strade (esposizione medio-alta del 33%; in Italia 39%), le conversazioni tra le persone (28%; in Italia 30%), la musica di sottofondo (25%; in Italia 32%) e il trasporto pubblico (21%; in Italia 28%).

“Molti aspetti culturali – spiega Giampaolo Nuvolati, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano Bicocca – intervengono nella valutazione del rumore: quello che le persone considerano come accettabile o meno cambia infatti continuamente sulla base dei propri valori, esperienze e abitudini. In alcune culture i rumori della strada sono visti come elementi identitari e di appartenenza alla comunità, in altre il silenzio assume addirittura una valenza di esclusività e di selezione sociale. Ad esempio, a New York o Napoli l’aspettativa di silenzio degli abitanti è bassa, i rumori sono considerati come parte integrante della cultura locale ed è perciò elevato l’adattamento al rumore. Un esempio tipico di adattamento è in discoteca, quando il volume è assordante, ma è ritenuto accettabile perché è parte dell’esperienza. Al contrario si parla di dissonanza, ad esempio, dopo un trasloco dalla campagna, quando il caos urbano può sembrare intollerabile, o se si ha un lavoro che richiede concentrazione e nulla di diverso dal silenzio risulterà sostenibile”.

Un freno al rumore. Pochi conoscono le conseguenze disastrose che il troppo rumore può avere sull’organismo. Soltanto 1 persona su 2 immagina che possa provocare stress, compromettere il sonno o rendere irritabili, meno di 1 su 10 lo correla a un maggior rischio cardiovascolare. La metà della popolazione ignora addirittura che un’esposizione frequente e prolungata a rumori intensi possa danneggiare l’udito.

Per mettere un freno al “mal di rumore” gli esperti suggeriscono due binari di azione. Da un lato è necessario fare prevenzione e informare i cittadini, soprattutto i più giovani, sui rischi dell’esposizione al rumore, sulla tipologia di suoni che possono danneggiare l’udito, sui sintomi correlati al trauma acustico da rumore. Una migliore prevenzione può infatti permettere di intervenire sia a livello individuale (ad es. con l’impiego di doppi vetri, l’uso di cuffie professionali, la riduzione del volume quando si ascolta la musica), sia a livello istituzionale (ad es. con la riduzione del livello di decibel consentito nei locali pubblici). Dall’altro lato è fondamentale diffondere la conoscenza dei progressi compiuti nel campo della diagnosi e della gestione dei disturbi uditivi connessi all’esposizione al rumore: la tecnologia digitale dei moderni apparecchi acustici, infatti, ha permesso di superare quei fenomeni di distorsione che in passato rendevano difficile percepire e differenziare segnali vocali e rumori, ma c’è ancora da fare sulla riduzione dello stigma che caratterizza questi dispositivi. Inoltre, si deve lavorare sullo sviluppo di test per prevedere il successo individuale nell’uso della soluzione acustica, così da poter personalizzare sempre di più il trattamento.

“Non è un caso – dichiara Susan Holland, Presidente del Gruppo Amplifon e del Centro Ricerche e Studi Amplifon – che Amplifon abbia deciso di promuovere il Consensus Paper ‘Coping with noise’ e di presentarlo a un mese dalla celebrazione dei suoi primi 65 anni. Per continuare a perseguire la nostra mission, di ridare alle persone la capacità di sentire meglio per vivere meglio, è infatti necessario conoscere da vicino il nemico numero uno dell’udito, cioè il rumore, la sua percezione nei diversi Paesi e le conseguenze che può avere per la salute. Come leader mondiale nel settore delle soluzioni uditive, abbiamo dunque promosso la più ampia indagine sull’inquinamento acustico, condotta da GfK Eurisko su 8800 persone in 11 Paesi del mondo, e per la realizzazione di questo Consensus abbiamo coinvolto un team multidisciplinare di esperti internazionali di primo piano, che hanno permesso di analizzare il fenomeno rumore dal punto di vista audiologico, acustico, sociologico, psicologico e urbanistico”.

Il Gruppo Amplifon è leader mondiale nella distribuzione ed applicazione personalizzata di apparecchi acustici e dei servizi correlati. Attraverso una rete di 3.400 punti vendita tra canali diretti e indiretti, 3.300 centri di servizio e 1.700 negozi affiliati, Amplifon è presente in Italia, Francia, Olanda, Germania, Regno Unito, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Ungheria, Egitto, Turchia, Polonia, Israele, USA, Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda e India. Il Gruppo Amplifon è anche su Twitter: @AmplifonGroup.

Amplifon ha contribuito allo sviluppo del Consensus Paper “Coping with noise”, una revisione di numerosi studi eseguiti a livello internazionale, sia di tipo clinico, sia di laboratorio. Si tratta del quinto Consensus supportato dal Gruppo, dopo “Anziani e udito: sentire meglio per vivere meglio” nel 2011, “L’ipoacusia nei bambini: sentire per crescere” nel 2012, “Sentire bene per allenare la mente” nel 2013 e “Diabete e Udito” nel 2014.

È possibile scaricare gli studi nella sezione “Medici/News” del sito www.amplifon.com

Per commentare su Twitter: #maldirumore @AmplifonGroup