Quali sono le  sulle prospettive del turismo internazionale, ma soprattutto italiano, alla vigilia della stagione estiva 2014?

 

Nel 2013 il turismo internazionale ha proseguito la sua crescita vigorosa sia di arrivi sia di introiti, lasciandosi definitivamente alle spalle la flessione del 2009.
Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO Barometer, January 2014) il comparto turistico ha vissuto nel 2013 un anno di ulteriore rafforzamento dei turisti internazionali che hanno toccato quota 1,087 miliardi, con un incremento pari al 5% rispetto all’anno precedente.
L’Europa si conferma come l’area che ha attratto il maggior numero di turisti (563,4mln), seguita da Asia (248,1 mln), Americhe (167,9 mln), Africa (55,8 mln) e Medio Oriente (51,6 mln). Il grafico seguente mostra il loro peso relativo:
Rispetto al 2012, le singole aree hanno mostrato inoltre differenti velocità di crescita: Europa +5,4%, Asia e Pacifico +6,2%, America +3,2%, Africa +5,4%, Medio Oriente -0,2%.
Nella graduatoria 2013 delle destinazioni turistiche mondiali più frequentate, l’Italia si colloca al 5° posto per gli arrivi internazionali e al 6° posto per gli introiti valutari
 E se ciò, a prima vista appare positivo, si legge sul rapporto Trip: -“tutti i paesi considerati hanno chiuso il 2013 in crescita, anche se con andamenti diversi. Secondo le proiezioni, Grecia (+5,3%), Portogallo (+5,1%) e Francia (+4,5%) si distingueranno per i maggiori incrementi nel numero di arrivi da turismo internazionale; Austria (+2,4%) e Italia (+2,2%) dovrebbero invece registrare gli aumenti più contenuti. Per il 2014, si prevede un consolidamento della crescita per tutti gli otto paesi considerati, escluso il Portogallo (+4,6%); l’Italia dovrebbe registrare un incremento dell’incoming pari al +3,1%, superiore a quello del 2013 ma sempre al di sotto dei tassi segnati dalle destinazioni concorrenti” e continua il rapporto – “Per quanto riguarda i paesi di origine dei flussi turistici stranieri verso l’Italia, si osserva una generale stagnazione della crescita – e, in alcuni casi, di un vero e proprio calo – degli arrivi dai principali mercati europei.”
Se poi analizziamo una serie storica la situazione è tragica: “nel dopoguerra –dice la UNWTO- Su poco più di 25 milioni di viaggiatori internazionali, poco meno di cinque venivano allora in vacanza in Italia.
Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta.
Come mai? Perché, accusa uno studio del Touring, «il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande “turisdotto” delle città d’arte o delle aree costiere» ma c’è da sempre una «cronica assenza» di strategie: «Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica». Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella piaga della mancanza anche di una «cultura dell’ospitalità». Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto «Paese più bello del mondo». Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una stagione eccezionale. Spiega infatti Emilio Becheri, coordinatore del rapporto di Turistica.it , che «nel 2011 (ultimo anno con dati definitivi) la maggiore quota di arrivi di turisti in Italia è determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico (d’arte) con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine (balneare) con il 21,5%». Di più: «L’analisi dei differenziali rivela che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo 2000-2010, pari a 23,692 milioni è imputabile in gran parte, per il 42,5%, all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non classificate come turistiche, per l’11,3 alle località balneari, per il 10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali».
«Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia – le attività che possono considerarsi core business – è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». Una quota bassissima –dice Gian Antonio Stella sul Corriere.it. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».

Cosa manca al turismo italiano per riuscire, almeno, “mantenere le posizioni”?
Parecchie cose: intanto l’industria turistica italiana è estremamente frammentata: su 35000 alberghi presenti in Italia solo poche centinaia fa parte di catene alberghiere di qualche peso; il che significa: poca forza commerciale, carenti politiche di marketing; scarsi investimenti, poca professionalità.
Oggi le maggiori catene italiane – Boscolo di Padova, Atahotels del gruppo Unipol, Starhotel – che pure hanno investito e aperto anche di recente strutture importanti e sono presenti con hotel di prestigio in Europa e negli Stati Uniti, superano di poco i 20 alberghi ciascuna.
Un confronto impari con colossi stranieri del calibro degli americani di Hilton (540 alberghi in 78 Paesi) e Starwood (1162 alberghi in 100 Paesi con marchi come  St. Regis, Luxury Collection, Méridien, Sheraton, Westin), dei francesi di Accor (3500 alberghi in 92 Paesi con marchi come Mercure, Novotel, Ibis, Sofitel, Pullman), degli spagnoli di NH (400 alberghi in 25 Paesi).
Dice sul Corriere.it Riccardo Franco Levi: “Guardando alle nostre città d’arte invase dagli stranieri e alle tante zone a consolidata vocazione turistica sulle nostre coste e montagne o considerando l’uso sempre più esteso dei servizi di prenotazione su internet, si è tentati dal pensare che all’Italia possa anche bastare l’attuale offerta alberghiera fatta di piccole e medie imprese. Non è così. Le grandi compagnie di viaggio che muovono su scala mondiale le truppe del turismo organizzato hanno come primi e naturali interlocutori le grande catene alberghiere. Con loro possono trattare da pari a pari, pacchetti di prenotazioni contro pacchetti di stanze, trasferendo ai propri clienti la soddisfazione di accumulare punti da spendere in futuri viaggi e soggiorni e la sicurezza di poter sempre contare su servizi e standard di qualità corrispondenti alle attese e al prezzo.”
Se a ciò aggiungiamo: le scarse infrastrutture, l’alto costo e la poca flessibilità del lavoro, la carenza di una politica promozionale del paese, l’assenza o quasi di incentivi fiscali, la scarsa considerazione di cui  il turismo gode nelle “stanze dei bottoni” il quadro è presto fatto.
Sulle circa 35.000 strutture alberghiere italiane circa 32.500, non fanno parte di catene alberghiere; sono per lo più strutture medio piccole che non svolgono alcuna attività di marketing e commerciale. Molto spesso il loro “marketing” consiste sulla “posizione strategica” in città d’arte come Firenze, Venezia, Roma, sull’antica tradizione, sul passa parola.
Affidarsi a professionisti del settore, come l’agenzia  Violet – che opera soprattutto nell’area commerciale: vendita, marketing, relazioni con la stampa, Internet e servizi new media, ma anche nelle risorse umane, merger & acquisition, ricerca di personale- permette di ottenere risultati più performanti e validi nel tempo, con proposte adattabili alle varie realtà.

 La forza della nuova società sta:
– nell’essere una risorsa esterna e quindi modulabile a seconda delle esigenze e dei tempi del committente
– nel fornire a costi competitivi l’esperienza di professionisti di standard internazionale e di provata capacità
– nell’avere una visione della realtà alberghiera e delle sue esigenze a tutto tondo
– nell’essere internazionale anche nella sua dimensione operativa

 I tre fondatori hanno curriculum di ampio rispetto:
*Guido Bernardi, titolare di una società di relazioni con la stampa nata 34 anni fa, è da sempre consulente delle principali catene alberghiere mondiali oltre che di numerose società finanziarie ed industriali.
 *Gabriele Burgio è stato, dal ’97 CEO e Chairman di NH Hoteles, posizione che tiene fino al marzo 2011. Con Burgio alle redini, NH hoteles diventa una delle catene alberghiere europee con maggior crescita, fino a raggiungere i €1,532m di fatturato nel 2008. È anche un membro indipendente del consiglio di amministrazione del Ferrovial SA e di Banque Syz & Co SA. Conseguentemente alla fusione tra NH Italia e Jolly Hotels viene nominato CEO di Jolly Hotels S.p.A.
*Samantha Williams ha lavorato nel settore degli hotel di lusso in San Paolo, Londra e Milano e ha coperto il ruolo di Regional Sales e Marketing Manager per grandi catene internazionali. Samantha ha lavorato per i seguenti marchi del turismo internazionale: One Aldwych hotel, Transamerica Hotel, Melia Milano hotel, Sol Melia group, NH Hoteles.

Violet è la prima realtà italiana ad offrire agli albergatori singoli e di piccole catene la competenza dei professionisti dell’industria internazionale dell’ospitalità ad un costo variabile e competitivo mettendoli in condizione di competere agilmente con le catene internazionali.