Intervista a: Stefano Gandolfi, Professore Ordinario di Malattie dell’apparato visivo dell’Università degli studi di Parma – Direttore della struttura complessa Oculistica (Dipartimento Chirurgico generale e Specialistico) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma – Nominato dalla Società oftalmologica italiana “esperto nazionale in Glaucoma”.

Il glaucoma si presenta in due forme principali: il glaucoma cronico, o ad angolo aperto, che comporta un logoramento del nervo ottico con una perdita progressiva della funzione visiva, e il glaucoma ad angolo chiuso, che può complicarsi in un attacco di glaucoma acuto, in cui la perdita del visus è improvvisa. in entrambi i casi, i progressi della chirurgia e della farmacologia consentono di fornire una risposta terapeutica adeguata a ogni singolo caso

Professor Gandolfi, parliamo di glaucoma. Come possiamo inquadrare questa patologia che può avere esiti fortemente invalidanti?

Intanto, occorre un chiarimento preliminare: non è corretto parlare di glaucoma al singolare poiché esistono, a grandi linee, almeno due forme principali di glaucoma, differenti per eziologia, fattori di rischio ed epidemiologia. C’è un glaucoma cronico, ad andamento lento, definito anche ad angolo aperto, in cui si verifica un logoramento del nervo ottico, con perdita progressiva (e non recuperabile) della funzione visiva. Poi, c’è un glaucoma ad angolo stretto o chiuso, che può complicarsi in un attacco improvviso di glaucoma acuto, con conseguente perdita improvvisa e rapida della funzione visiva. È importante che si capisca bene che sono due malattie diverse: è un po’ la stessa differenza che c’è tra lo scompenso cardiaco e l’infarto.

Come si affrontano dal punto di vista clinico le due diverse forme di glaucoma?

Nel caso del glaucoma ad angolo aperto, si procede al trattamento quando si manifestano i primi segni di malattia con l’obiettivo di evitare che la struttura colpita, il nervo ottico, si logori al punto tale da produrre un handicap visivo. La diagnosi viene tradizionalmente sospettata analizzando la struttura anatomica del nervo ottico, mediante l’osservazione del fondo oculare, che viene effettuata durante la visita oculistica routinaria. Davanti a un quadro anatomico sospetto, si valuta la funzionalità stessa del nervo, attraverso la misurazione del campo visivo, ricercando in tal modo la presenza di (anche minimi) difetti. Va, purtroppo, sottolineato che il fare la diagnosi a questo punto della storia clinica della malattia significa che s’interviene quando il nervo è già stato toccato dalla malattia e ha già perso un discreto contingente di fibre nervose. Fortunatamente il progresso tecnologico ci ha messo recentemente a disposizione tecniche di imaging con risoluzioni dell’ordine del micron, che consentono di fare una diagnosi quando il campo visivo è ancora normale e il nervo è stato solo minimamente intaccato dalla malattia.

E nel caso del glaucoma ad angolo stretto o chiuso?

In questo secondo caso, si cerca d’individuare le persone a rischio e si attuano le misure di prevenzione perché non si verifichi l’attacco acuto. Questo si può fare, durante la visita oculistica routinaria, osservando la parte anteriore dell’occhio e valutando (a) la profondità della cosiddetta “camera anteriore”, che rappresenta lo spazio che c’è tra l’iride e la cornea, e (b) l’ampiezza del punto di giunzione, tra iride e cornea, che prende il nome di “angolo” e nel fondo del quale vi sono le strutture deputate all’assorbimento e al drenaggio dell’umor acqueo.

Che cosa possiamo dire dei fattori di rischio nei due casi?

Il glaucoma ad angolo aperto è una malattia multifattoriale: il principale fattore di rischio è la pressione intraoculare: più la pressione è alta, più è probabile che un individuo, se sano, si ammali, o che un malato, nel tempo, peggiori. Tuttavia l’insorgenza della malattia, cioè il danno al nervo ottico, dipende da tanti altri fattori che determinano la maggiore o minore resistenza dell’occhio alla pressione, quali la circolazione sanguigna precaria, o una vulnerabilità anatomica dell’occhio, che riguarda principalmente l’occhio di grandi dimensioni, quello del grande miope, per intenderci. Nel caso del glaucoma ad angolo stretto o chiuso, invece, è più a rischio l’occhio piccolo e ipermetrope, cioè con il difetto visivo diametralmente opposto a quello lamentato dal miope. Inoltre, il rischio aumenta con il passare dell’età. Quindi se se si vuole fare uno screening di soggetti a rischio, bisogna iniziare da soggetti anzian e ipermetropi. Va ricodato, in particolare, che persone di origine orientale, per ragioni di conformazione anatomica dell’occhio, sono maggiormente a rischio di sviluppare un attacco di glaucoma acuto. Infine, esiste una indiscutibile componente genetica, per cui avere un consanguineo, affetto da una forma di glaucoma, è un importante fattore di rischio per sviluppare la malattia.

Anche segni e sintomi sono differenti nei due casi?

Certamente sì: il glaucoma cronico, pur portando a danni fortemente invalidanti, non dà sintomi, ma solo segni, e per questo è chiamato spesso “il ladro silenzioso della vista”. Nel caso del glaucoma ad angolo stretto o chiuso, la chiusura dell’angolo della camera anteriore dell’occhio può portare a un aumento repentino della pressione intraoculare, che raggiunge valori elevatissimi, comportando una difficoltà di circolazione del sangue e quindi un notevole sofferenza di tutte le strutture dell’occhio. Questo evento acuto scatena altri sintomi che invece nel glaucoma cronico non ci sono: l’occhio è congestionato e fortemente arrossato; il paziente ha dolore e la vista improvvisamente gli si appanna.

Quali sono i dati epidemiologici sul glaucoma?

Se si considera la popolazione di età superiore a 40 anni, il glaucoma cronico ha un’incidenza compresa tra l’1 e il 2 per cento della popolazione, ma arriva al 3 per cento oltre i 75 anni al 4 per cento oltre gli 80 anni. La prevalenza è in forte aumento, per effetto dell’invecchiamento della popolazione. Ma il problema vero è che il 60 per cento delle persone colpite non sa di avere la malattia.

Veniamo alla terapia: qual è il panorama farmacologico attuale?

Recentemente si sono resi disponibili alcuni approcci farmacologici nuovi e anche alcune “rivisitazioni” di approcci un po’ più datati. Siamo infatti in attesa di principi attivi che agiscono sulle zone in cui l’umor acqueo viene filtrato via, ma si tratta di molecole ancora in fase sperimentale. Molto interessanti sono anche le nuove combinazioni fisse di alcune classi di farmaci che sono disponibili già da alcuni anni, e cioè i derivati delle prostaglandine, i ‘vecchi’ beta bloccanti, gli inibitori dell’anidrasi carbonica e gli stimolanti alfa-2 adrenergici. Al di là dei tecnicismi, è importante sottolineare il grande vantaggio per i pazienti derivante dall’avere due farmaci in un’unica boccettina: autosomministrarsi un collirio non è facile, soprattutto quando sono stati prescritti diversi farmaci in combinazione. Ci sono poi le tecnologie laser, che, se utilizzate bene, consentono a tanti pazienti di andare avanti senza mettere gocce. Un trattamento laser, magari ripetuto nel tempo a cadenza fissa, consente in molti casi di gestire la malattia, facendo a meno di una terapia topica che, a lungo termine, rende la superficie dell’occhio molto sofferente, soprattutto se ripetutamente esposta a collirii contenenti conservanti come il cloruro di benzalconio.

E sul versante chirurgico?

Il trattamento chirurgico del glaucoma ad angolo aperto è quello che ha fatto più passi avanti negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di tantissime tecniche, per lo più mininvasive, per abbassare la pressione oculare nei casi di glaucoma cronico. Ognuna di queste soluzioni chirurgiche ha effetti diversi ed è adatta a un diverso tipo di paziente e di malattia: ci sono casi di glaucoma che richiedono delle pressioni bassissime, mentre per altri possono andare bene anche valori di pressione medi. Ciò consente una notevole personalizzazione dell’intervento terapeutico; arriviamo addirittura ad avere, per uno stesso paziente, un’indicazione chirurgica per il primo occhio e un’altra per il secondo occhio.

E per l’angolo chiuso, quali sono gli approcci terapeutici più efficaci?

Nel caso del glaucoma ad angolo stretto o chiuso, il primo passo consiste nel raccogliere informazioni, magari mediante tecniche di imaging, per individuare il malato a rischio di attacco acuto. Una volta fatto questo, si può decidere come fare per evitare che l’angolo si chiuda, essenzialmente con due tipologie diverse d’intervento con il laser: l’iridotomia e l’iridoplastica. Nel primo caso si pratica un forellino nell’iride che fa da bypass per l’umor acqueo: nel secondo caso “si stira” l’iride. Ma queste sono due metodiche disponibili già da alcuni anni. L’unica novità su questo fronte, che è attualmente oggetto di verifica in un grande trial denominato EAGLE, prevede di sostituire il cristallino naturale, anche quando è ancora trasparente, con un cristallino artificiale, così come si fa nell’intervento di cataratta. Su pazienti a rischio di attacco di glaucoma acuto, ciò consente di aumentare gli spazi interni dell’occhio, prevenendo il glaucoma acuto in persone a rischio, poiché il cristallino artificiale ha uno spessore notevolmente inferiore a quello naturale.

Per il futuro, quali sono le prospettive più interessanti?

Tra le novità della ricerca, sicuramente sono due quelle da citare. La prima è un nuovo approccio terapeutico che prevede non di abbassare la pressione ma di “irrobustire” il nervo ottico, grazie all’azione di farmaci neuroprotettori, alcuni dei quali hanno già superato i test clinici in pazienti affetti da glaucoma. Essi consentirebbero di trattare il glaucoma per quello che è, e cioè una malattia del nervo, indipendentemente dalla pressione oculare. La seconda novità è l’identificazione di alcuni biomarker che consentano di individuare i malati più a rischio di peggiorare e che vanno trattati in modo più aggressivo, con una personalizzazione ancora più spinta dell’intervento terapeutico. La ricerca va, al momento, in queste due direzioni principali.