La guerra nella Striscia di Gaza, scatenata da Israele come risposta all’azione terroristica perpetrata dal gruppo estremistico Hamas, era ed è giustificata in virtù della ricerca degli ostaggi detenuti dai terroristi nei cunicoli del territorio palestinese, dalla difesa preventiva per ulteriori episodi in futuro, dalla volontà di giustizia per le centinaia di vittime civili israeliane massacrate lo scorso 7 ottobre, drammatico e nefasto giorno, della vile azione terroristica in territorio israeliano.
A distanza di oltre 6 mesi, la situazione sanitaria e sociale nella Striscia di Gaza è devastata.
Centinaia di palazzi distrutti, mancanza di cibo, migliaia di bambini che soffrono di malnutrizione, e con gli ospedali (i pochi non distrutti dai bombardamenti) ormai al collasso. Alcuni ostaggi sono ancora nelle mani dei sequestratori e le truppe paramilitari di Hamas, seppur decimate, sono ancora presenti in terra Palestinese. I colloqui di pace non hanno ancora sortito alcun esito favorevole. L’escalation del conflitto continua inarrestabile (Libano, Yemen, Siria).
A fronte di questa tragedia umanitaria, parecchi collettivi universitari hanno manifestato nei giorni scorsi, chiedendo ai loro atenei di interrompere i contratti di collaborazione con le università israeliane riguardanti progetti finalizzati allo sviluppo dei settori bellici. Manifestazioni, scioperi, occupazioni, e anche scontri con le forze dell’ordine si sono riscontrate a Torino, Roma, Milano, Napoli, Pisa, Firenze e in altre città italiane.
Spicca nella cronaca di queste settimane, la decisione dell’università di Torino che per prima ha decretato il rifiuto della collaborazione con gli atenei israeliani, la rinuncia alla partecipazione al bando indetto dal Governo italiano, come segnale politico per la guerra a Gaza, a seguito della presa di posizione di una parte del corpo docente, alcuni membri del senato accademico e di alcuni studenti del collettivo. Sono stati di agitazione, ispirate al pacifismo e al ripudio della guerra come strumento di offesa e alla promozione della pace nei rapporti internazionali, in virtù dei dettami costituzionali (articolo 11).
Scopo meritorio e legittimo, evidentemente non eguale, la modalità, in alcuni casi estremista, con cui si sono espressi certi collettivi.
Una domanda, tuttavia sarebbe d’uopo rivolgere a questa futura classe dirigente.
Dal marzo 2020 al maggio 2023 l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato l’emergenza sanitaria per la pandemia da Covid 19.
In quei drammatici 38 mesi sono deceduti ufficialmente oltre 7 milioni di persone a causa del virus Sars CoV2 (per alcuni statistici sarebbero oltre 20 milioni), con miliardi di persone infettate dal patogeno e con l’economia mondiale che ha bruciato migliaia di miliardi in fatto di PIL e milioni di posti di lavoro.
Una situazione sociale sempre più precaria con conseguenze anche psicologiche sconvolgenti.
Ebbene, in quei mesi, nelle settimane successive, ancora oggi, nessuna protesta, nessuna manifestazione studentesca, nessuna occupazione è stata indetta, udita e veduta nelle nostre scuole, nelle nostre università, nelle nostre piazze e strade delle nostre città e paesi, per chiedere verità, trasparenza, nei confronti della Repubblica Popolare Cinese da dove il virus è stato rintracciato originariamente e da dove è scaturita la pandemia.
Non c’è stata alcuna richiesta per conoscere l’origine del patogeno (salto di specie da animale a uomo, oppure fuga da un laboratorio).
Nessuna rimostranza per la colpevole mancanza di celerità nella comunicazione di quanto stava accadendo a Wuhan nel dicembre 2019.
Nessuna manifestazione di protesta, richiesta di boicottaggio nei confronti dei centri di ricerca e dei laboratori cinesi. dove ancora oggi di pratica “il guadagno di funzione” (gain of function) manipolando pericolosi virus patogeni, tra cui i coronavirus (la famiglia del Sars CoV2), senza adottare le indispensabili misure di sicurezza, come il livello BLS 3.
Nessuna rimostranza per domandare di eliminare il segreto totale imposto dal regime dittatoriale cinese calato su quelle realtà, sui dati originali del covid19, sulla negazione di accesso a commissioni dell’OMS per la ricerca della verità.
Nessuna protesta per conoscere il ruolo dell’organizzazione americana Eco Health Alliance nello sviluppo e nella ricerca delle attività nei laboratori cinesi in ambito virologico e batteriologico e nel controllo dell’adozione dei criteri di biosicurezza. Ricerca e contributo finanziato dalle tasse versate dal popolo americano.
E non è tutto.
Quelle Università, i cui studenti, una parte del corpo docente, membri dei senati accademici hanno rifiutato e rifiutano alcuna collaborazione con i loro colleghi israeliani, da oltre un decennio, stanno sviluppano partenariati con atenei cinesi, tra cui quello sito a Wuhan.
La UNITO ha attualmente in corso 5 partenariati con le seguenti università cinesi: Peking university, Zhejiang university,Tongii university, Beijing university, Guandong university.
L’Università La Sapienza di Roma ha fondato l’Istituto italo-cinese a Wuhan in collaborazione con l’ateneo della città dell’ Hubei.
Altre università italiane hanno sottoscritto collaborazioni in ambito scientifico con atenei cinesi, tra cui l’Università degli studi di Bari, il Politecnico di Torino, l’Università Bicocca di Milano.
In questi atenei nessuna protesta da parte degli studenti, dei vari collettivi, o di una delegazione di docenti o membri dei senati accademici; nessuna richiesta di cessazione di collaborazione; nessuna rimostranza per il “silenzio” delle autorità cinesi riguardo l’origine del Sars CoV2, della mancata segnalazione tempestiva dell’epidemia; nessuna istanza per l’accesso ai dati e alla struttura del Wuhan Institute of Virology; nessun monito per un controllo periodico circa i sistemi di sicurezza nei laboratori scientifici di virologia; nessuna petizione per imporre alla Cina la totale trasparenza nella comunicazione di eventi epidemici presenti nel suo territorio per scongiurare nuove future pandemie. Nulla di nulla, solo un silenzio assordante.
Domande “difficili”, ma soprattutto scomode, che nessun collettivo di nessuna scuola, di nessun ateneo ha mai posto all’attenzione dell’opinione pubblica magari anche solamente con l’esposizione di un piccolo cartello di cartone delle dimensioni di 50cmX50cm, vergato con un semplice pennarello di colore rosso, che suscita meno clamore degli striscioni lunghi metri e metri di stoffa che esibiscono da molte settimane. e che vengono affissi sui muri degli edifici scolastici ed universitari, ad inizio dei cortei, nelle aule. davanti a telecamere e microfoni dei mezzi di comunicazioni nazionali e locali contro Israele e favore della Palestina.
Domande capziose? No, semplici questioni e richieste di coerenza.
Domande a cui, finora, non è stata concessa risposta, evidentemente, per non intaccare le loro ideologie globaliste, neo comuniste, post comuniste?
Domande che andrebbero a smitizzare il dragone cinese, eterno faro della mai defunta internazionale comunista?
Una discriminante e inconcepibile scelta di protesta, riguardante stessi settori della formazione scientifica (centri ricerca, laboratori, università), ma di Nazioni facenti parte dei due “mondi” contrapposti , ovvero quello “capitalistico imperialista occidentale” (di cui Israele è uno dei maggiori rappresentanti) e quindi il male supremo, e quello “capitalistico statalista dittatoriale comunista cinese”, ovvero il “regno” dell’avvenire proletario.
A tutto questo, oltre le ideologie, ci sono i dati reali, la storia, e il futuro del mondo e dell’umanità.
20 milioni di morti per la pandemia di cui non si conosce l’origine, con laboratori che non adottano ancora oggi le sicurezze necessarie, da una parte, e dall’altra, un atto terroristico e una risposta sproporzionata e feroce che ha causato 35 mila morti.
Molto triste questo genere di silenzio di una certa “futura classe dirigente italiana” che non riesce proprio a scorgere i milioni di vittime e il pericolo di una nuova tragedia sanitaria; è tanto assordante quanto rabbrividente. La spiegazione, di questo ostracismo, è semplice.
E’ sufficiente sostituire il vocabolo CINEMATOGRAFO, con la parola, IDEOLOGIA, estrapolando una battuta del film cult della commedia italiana anni 50, “Belle ma povere”, pronunciata dal sor Alvaro, tranviere romano, alias Memmo Carotenuto: “… a sti ragazzi è il cinematografo che li rovina…”.
Massimo Puricelli
Castellanza (VA)