Sono passati più di due anni dall’inizio ufficiale della guerra che sta coinvolgendo il Sudan. Era l’aprile del 2023 quando le tensioni latenti tra l’esercito regolare sudanese e le Forze di Supporto Rapido sono esplose in un conflitto aperto. Da allora, combattimenti e violenza non si sono più arrestate, sfociando rapidamente in quella che viene definita una delle peggiori crisi umanitarie contemporanee: milioni di sfollati interni, centinaia di migliaia di rifugiati nei paesi vicini e un sistema sanitario e alimentare al collasso. 

A più di due anni dall’inizio del conflitto in Sudan, la comunità internazionale si trova di fronte a una guerra che non solo non sembra avere una conclusione, ma che rischia anche di essere dimenticata.

Le origini della guerra civile

Anche se il conflitto in Sudan è esploso ufficialmente nel 2023, per comprenderne le cause è necessario fare un passo indietro. Il punto di svolta risale infatti al 2019, anno in cui, dopo mesi di proteste popolari alimentate dalla crisi economica e dalla dura repressione del regime, il popolo sudanese riuscì a rovesciare Omar al-Bashir, al potere da trent’anni. 

Questo avvenimento provocò una fase di transizione politica, in cui militari e civili provarono a collaborare e dialogare per arrivare a un governo democratico. A dominare questa scena furono due figure chiave: il generale Abdel Fattah al-Burhan, a capo dell’esercito regolare (SAF) e Mohamed Hamdan Dagalo, leader delle Rapid Support Forces (RSF), una potente milizia paramilitare. 

Questo fragile equilibrio terminò nel 2021, quando i militari scatenarono un colpo di stato che portò alla fine del processo democratico. La convivenza tra queste due frange durò però molto poco: il 15 aprile 2023 le RSF attaccarono basi militari e istituzioni chiave a Khartoum, cercando di prendere il controllo della capitale. La risposta dell’esercito non si fece attendere e avvenne tramite bombardamenti e combattimenti su larga scala. 

Da quel momento, il conflitto si è esteso in tutto il paese, colpendo in modo devastante il Darfur, il Kordofan e altre aree strategiche.

Le tappe della guerra civile

Dopo i primi mesi di conflitto, la situazione in Sudan si trovò in una situazione di stallo: a fine 2023 le RSF controllavano vaste aree occidentali e parti della capitale, mentre le SAF mantenevano basi militari e il controllo delle istituzioni. 

L’anno successivo il conflitto in Sudan diventò ancora più esteso: le RSF consolidarono il controllo nel Darfur e strinsero legami soprattutto negli Emirati Arabi Uniti e l’esercito iniziò a cercare appoggi internazionali in Egitto, Iran e Turchia. Le conseguenze peggiori le subirono i civili, con moltissimi morti e un’enorme crisi di sfollati. 

A inizio 2025 le SAF hanno conquistato lo Stato del Gezira, parti del Kordofan e sono riusciti a spingere le RSF fuori da aree strategiche, che però nei mesi successivi hanno ripreso il palazzo presidenziale di Khartoum e altri edifici simbolici, restando forti in diverse zone del Darfur e lungo le frontiere meridionali. Diversi sono stati i tentativi di pace, principalmente giunti da USA, Egitto, Unione Africana e Arabia Saudita, ma non hanno avuto risultati concreti.

La crisi umanitaria

Il conflitto in Sudan sta avendo, come conseguenza principale, una crisi umanitaria senza precedenti. Gli scontri hanno infatti distrutto non solo aree densamente popolate, ma anche ospedali, scuole, mercati e reti idriche, provocando milioni di morti e sfollati e lasciando i bambini senza istruzione. 

La guerra ha inoltre aggravato la già precaria situazione alimentare, che è sfociata in una vera e propria carestia. Anche il sistema sanitario è al collasso, mentre i continui scontri rendono la popolazione civile la più importante vittima di questo conflitto che sembra senza fine.