No, nemmeno il traguardo della possibile vittoria della coppa Italia, ha potuto cambiare l’atteggiamento dei giocatori e dello staff tecnico e dirigenziale dell’AC Milan 1899 e l’andamento della stagione 2024/25.

Un anonimo campionato (attualmente ottavo posto), nonostante gli innesti derivati dal calcio mercato di gennaio, e due allenatori; unica “magra” soddisfazione, la vittoria della Supercoppa a gennaio.

Osservando il match, in maniera distaccata e senza alcuna emozione dettata dalla mancanza di passione, ormai svanita oltre 10 anni fa, allorché il Calcio è stato cancellato definitivamente dal nuovo entertainment pallonaro (per la verità l’inizio della fine del Calcio risale alla metà dei primi anni 2000, di pari passo alla globalizzazione imperante), si poteva notare anche sul prato dell’Olimpico addobbato a festa, un bassissimo livello tecnico dei 22 protagonisti in campo.


Molta tattica, molta corsa, poca inventiva, poca fantasia, ma anche poco animus pugnandi (qualche briciola traspariva dalle maglie bianche del Bologna).


Tutto come da due decenni; ormai gli “artisti” pedatori si sono estinti.

E allora la mente, in cerca, di un diversivo per allontanarsi dal torpore dettato dalla noia, si è, d’un tratto, focalizzata su un “dolce” ricordo d’infanzia.

Stagione 1976/77.

Sei anni di età, prima elementare, già appassionato, meglio, innamorato dei colori rossoneri (una fede trasmessa da mio padre, tifosissimo e seguace del sodalizio rossonero fin dall’inizio degli anni 50; frequentatore assiduo di S.Siro, che era costituito da un solo anello).
Ricordo le cronache delle partite alla radio assieme a mio papà, e i riflessi filmati di 90° minuto.
Il Milan disputa un campionato di sofferenza. Allenatore Marchioro, esonerato a metà stagione. Viene richiamato il “paron” Rocco che ci salva dalla retrocessione alle ultime giornate.

Diverso il cammino in coppa Italia.

Il leggendario Paron trasmette una carica speciale alla squadra che sbaraglia tutte le avversarie e guidata da sua “altezza” Gianni Rivera, conquista la finale.

Finale che doveva disputarsi a Roma, ma poichè l’antagonista erano i cugini nerazzurri, la Lega Calcio decide che la sede sarà S.Siro, e la gara verrà giocata il 3 luglio.


Durante il girone eliminatorio per la conquista della finale (in quella edizione la finale si raggiungeva vincendo un girone eliminatorio), mio papà mi fece una promessa: se andiamo in finale, ti porto a S.Siro a vedere il Milan.


Ricordo la gioia immensa non appena ci fu la certezza della qualificazione.

Ricordo l’ineffabile emozione quando entrai a S.Siro per la prima volta.
Ricordo la folla straboccante; il gol del vantaggio di Maldera; il suggello finale di un “certo” Giorgio Braglia, ala (così di definivano gli attaccanti laterali quando esisteva il Calcio), un “panchinaro”; il coro cantato dai tifosi rossoneri, ebbri di felicità: Maldera, Braglia coppa Italia!!!; e poi , dulcis in fundo mio papà che, durante il, tragitto che ci conduce verso la nostra auto, mi acquista una bandiera del Milan con i trofei conquistati durante la sua gloriosa storia dal 1899 fino a quella notte del luglio 1977.
Custodisco ancora, come una reliquia, quel vessillo, simbolo di una “ragione di vita” che mi ha accompagnato fino ad una decina di anni fa.
Quando mi sono ridestato, seguendo le fasi finali della partita di ieri sera, con il Bologna vincitore che alzava la coppa, ho avuto l’ennesima conferma di cosa sia oggi l’entertainment pallonaro, la sostanziale differenza con il Calcio Vero, e l’ enorme distanza che li separa.
Due giocatori che hanno disputato due finali diverse (quella del 1977 e quella di ieri sera) hanno avvalorato quella demarcazione sostanziale.
Giorgio Braglia e Rafa Leao.
Il primo, Giorgio Braglia, “onesto calciatore” di medio livello, alla veloce con poche presenze in quella stagione 76/77 in campionato, ma protagonista in coppa Italia con 6 gol realizzati (compreso il secondo della finale), elargendo a profusione tutto quanto era nelle sue possibilità fisiche e mentali.
Il secondo, Rafa Leao, titolare da oltre 5 anni, discontinuo e altalenante nelle sue prestazioni sportive, impegnato in attività extra calcio come la moda (titolare del marchio di abbigliamento “Son is Son” e testimonial di Adidas per Gucci), la musica ( è un rapper con lo pseudonimo WAY 45 che ha pubblicato alcune canzoni), anche nella serata di ieri non ha lasciato “traccia” sul campo dell’Olimpico se non per la sua folta e appariscente capigliatura “rasta”.
Braglia e Leao due calciatori, stesso ruolo, diversi stipendi.
Leao percepisce 7 milioni netti annui, poco meno di 600 mila euro mensili.
Per oltre due anni ha dibattuto con la proprietà per un aumento di ingaggio.
Braglia forse percepiva (non vi sono dati certi) 10 milioni di vecchie Lire all’anno (Rivera ne guadagnava 70), poco meno 900 mila lire al mese.
Braglia, probabilmente “ha ringraziato” il Cielo, la fortuna, il destino, quando ha sottoscritto il contratto che lo legava al Milan per una stagione.
Il tasso tecnico e non solo, dei due giocatori è a favore di Giorgio Braglia.
Del resto nei decenni del Vero Calcio la sapienza tecnica, l’impegno mentale, la volontà, la fantasia, dei giocatori era notevolmente maggiore rispetto agli attuali.
Calciatori come Leao, con minima voglia, e monocorde nei movimenti, avrebbero avuto difficoltà ad indossare una maglia da titolare e avrebbero trascorso la maggior parte della stagione in tribuna, oppure, a centro panchina (panchina che era composta da 4 giocatori “di movimento” e il portiere di riserva per un totale di 16 giocatori convocati).
E la convocazione non certamente in squadre di serie A, visto quali ali calcavano i campi della massima serie.
Senza scomodare i mostri sacri quali Garrincha, Gento, Best, Causio, Conti, Claudio Sala, Mora, Domenghini, Jair, Donadoni, è sufficiente citare anche ottimi laterali come Juary, Iorio, Fanna, Marocchino, Lombardo, Verza, e tanti altri.
Rafa Leao, inoltre, non sarebbe mai arrivato in Italia, analizzando le sue qualità che gli avrebbero precluso la massima serie e vigendo il divieto di tesserare calciatori stranieri nelle serie minori.
Ma anche esulando da tale divieto, non sarebbe stato acquistato anche da compagini di serie C.
Molte squadre della terza categoria avevano in rosa promettenti giovani attaccanti di ottimo livello, come ad esempio Gigi Riva (AC Legnano stagione 1962), un esempio eclatante di volontà, impegno, serietà, classe.
E’ facile capire da questi dati e ricordi, perchè oggi il Calcio non esiste più.
Valori (non economici) tecnici, senso di appartenenza, identità, animus pugnandi, rispetto per la storia e il blasone della società, attaccamento ai colori sociali, considerazione per la fede dei tifosi.
E’ spiacevole pensare che le nuove generazioni di tifosi, meglio definirli clienti, gli venga offerto un genere di spettacolo di livello così infimo soprattutto per la mancanza di quelle caratteristiche che hanno contraddistinto il Calcio per oltre un secolo e fatto innamorare generazioni e generazioni di tifosi con la fede trasmessa da padre in figlio, come una dote di alto valore esistenziale, sociale, morale.

Massimo Puricelli
Castellanza (VA)