Fragilità, fratture vertebrali e Osteoporosi secondaria in agguato, lo studio condotto all’Università di Brescia. E presentato al 4° Congresso CUEM

I pazienti con acromegalia, sia attiva sia controllata/curata, sono a rischio di sviluppare fratture vertebrali, anche quando i valori di densità minerale ossea all’esame della mineralometria ossea computerizzata (MOC) sono solo lievemente ridotti, o addirittura normali, a suggerire una specifica alterazione della qualità dell’osso causata dall’eccesso di ormone della crescita che è all’origine della malattia acromegalica. Pertanto, la stratificazione del rischio di fratture in acromegalia, così come in altre forme di osteoporosi secondaria, non può avvenire attraverso l’utilizzo della densitometria ossea MOC e la ricerca diretta delle fratture vertebrali rappresenta, al momento, l’unico strumento diagnostico in grado di individuare i pazienti acromegalici con fragilità scheletrica.

L’acromegalia è una malattia causata nel soggetto adulto da un adenoma ipofisario che secerne quantità eccessive di ormone della crescita (GH). L’acromegalia è caratterizzata da ingrandimento delle parti acrali (viso, mani, piedi) e da una serie di complicanza come cardiopatia e diabete mellito che causano, se la malattia non è ben controllata, mortalità precoce.

Il  gruppo degli endocrinologi guidato dal professor Andrea Giustina, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Brescia,  nel 2005 ha dimostrato per la prima volta nella letteratura internazionale che i pazienti con acromegalia presentano anche un’elevata prevalenza di fratture vertebrali da osteoporosi.

Successivi studi, condotti sia in Europa che negli Stati Uniti d’America, hanno confermato questo dato e più recentemente due studi indipendenti, uno condotto a Brescia e l’altro all’Università di Leiden in Olanda, hanno definitivamente chiarito, con una rigorosa valutazione prospettica, che i pazienti affetti da acromegalia sono ad elevato rischio di sviluppare fratture vertebrali. Questi studi rappresentano il punto di arrivo di numerose ricerche clinico-sperimentali che negli ultimi 30 anni hanno portato a caratterizzare, sotto vari aspetti, gli effetti scheletrici dell’eccesso di GH. Purtroppo, l’analisi dei singoli studi non ha consentito di fornire informazioni definitive ed affidabili sulla fragilità scheletrica del paziente acromegalico a causa dell’eterogeneità degli end-point clinici considerati nelle singole ricerche e soprattutto a causa della scarsa numerosità delle popolazioni studiate nei singoli studi, in relazione alla bassa incidenza e prevalenza della malattia acromegalica nella popolazione generale.

Partendo da queste considerazioni, il gruppo del professor Andrea Giustina in collaborazione con l’Istituto Mario Negri di Milano ha condotto una revisione sistematica della letteratura scientifica inerente gli effetti scheletrici dell’acromegalia, utilizzando la meta-analisi che ha consentito di assemblare i risultati di tutti gli studi condotti negli ultimi 40 anni sugli effetti dell’eccesso di GH sul metabolismo osseo pubblicata nelle scorse settimane sulla rivista della Societa’ Americana di Endocrinologia, il Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism. Già in precedenza, il gruppo del professor Giustina  aveva portato a termine due importanti meta-analisi sugli effetti degli analoghi della somatostatina sul metabolismo glucidico e sulla crescita dell’adenoma ipofisario. Partendo dal successo delle precedenti indagini, si è voluto utilizzare lo stesso strumento per avere dei risultati cumulativi in grado di caratterizzare in maniera affidabile e definitiva la fragilità scheletrica del pazienti acromegalico.

Da una revisione critica di circa 800 lavori scientifici pubblicati dal 1979, utilizzando rigorosi criteri clinico-statistici, sono stati selezionati 41 studi condotti su oltre 1700 pazienti. La meta-analisi ha consentito di dimostrare che l’eccesso di GH causa un aumento del turnover osseo con un effetto quantitativamente maggiore sul riassorbimento rispetto alla neoformazione ossea. Questo sbilanciamento del turnover osseo è direttamente responsabile della perdita di massa ossea che tuttavia non può essere misurata in maniera affidabile attraverso la valutazione della densità minerale ossea mediante esame MOC. Infatti, la meta-analisi ha dimostrato una certa eterogeneità dei dati MOC nei pazienti acromegalici con un alta percentuale di pazienti con valori densitometrici normali o addirittura aumentati. Questi dati MOC hanno indotto la comunità scientifica internazionale a considerare per moltissimi anni l’acromegalia come una condizione favorevole per lo scheletro. Tale concetto è stato completamente rivoluzionato nel 2005 quando il gruppo di ricerca del prof Andrea Giustina, partendo da una semplice intuizione clinica derivante dall’osservazione che i pazienti acromegalici si presentano frequentemente con una marcata cifosi dorsale ed utilizzando un sistema di analisi radiologica-morfometrica già applicata in altri ambiti clinici, ha dimostrato per la prima volta la presenza di fratture vertebrali da fragilità in donne in post-menopausa affetti da acromegalia.

Mettendo insieme tutti gli studi condotti dal 2005 in poi sulle fratture causate dall’eccesso di GH, la meta-analisi ha dimostrato che circa il 40% dei pazienti con acromegalia sviluppa fratture vertebrali con un rischio 3 volte maggiore nei pazienti con acromegalia attiva rispetto ai pazienti con malattia controllata, 2 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine e circa il 60% maggiore nei pazienti con ipogonadismo rispetto a quelli con normale funzione gonadica, a suggerire che quanto dimostrato per la prima volta nel 2005 nelle donne in post-menopausa era solo l’inizio di una lunga ed affascinante storia di ricerca clinica. Un ulteriore importante risultato della meta-analisi è stata la conferma che l’esame MOC non è in grado di individuare i pazienti ad alto rischio di fratture, in quanto l’analisi cumulativa degli studi ha concluso che i pazienti fratturati e pazienti non fratturati hanno valori di densità minerale ossea del tutto sovrapponibili, aprendo quindi la strada a futuri studi orientati alla definizione diagnostico-strumentale della fragilità scheletrica del paziente con acromegalia

La meta-analisi ha dimostrato che la fragilità scheletrica è una complicanza emergente dell’acromegalia e che si manifesta con un elevato turnover osseo ed un aumentato rischio di fratture vertebrali, anche in presenza di valori normali o addirittura aumentati di densità minerale ossea misurata con tecnica MOC DEXA.

L’acromegalia è una condizione rara, grave e invalidante che comporta un rischio per la vita dei pazienti. Si stima che la prevalenza di questa patologia sia di 40-70 casi su un milione di abitanti, con un’incidenza annua di 3-4 nuovi casi su un milione di abitanti. È più comune negli adulti di mezza età.

La patologia è causata da un’ipersecrezione cronica di ormone della crescita (GH), che, in oltre il 95% dei pazienti, ha origine da un adenoma ipofisario secernente GH. I pazienti con acromegalia non trattata hanno un’aspettativa di vita più breve, con un tasso di mortalità pari a circa il doppio rispetto a quello osservato nella popolazione generale e una riduzione media dell’aspettativa di vita di circa 10 anni.

Si tratta di una patologia lenta ed insidiosa. La diagnosi è tardiva rispetto all’esordio della malattia e gli effetti a lungo termine possono essere irreversibili. Il suo nome deriva da acros (estremità) e megalos (grandi). Come primi segni della malattia si possono notare:

  • ingrandimento di mani e piedi
  • incapacità a infilare/sfilare gli anelli
  • aumento della misura delle scarpe
  • modificazioni dei tratti somatici del volto (allargamento del naso, aumento di volume di labbra e lingua)
  • sporgenza bozze prefrontali, protrusione delle arcate zigomatiche e del mento (prognatismo), aumento dello spazio tra i denti (diastasi dentaria)

Gli obiettivi terapeutici dell’acromegalia consistono nel ridurre la mortalità, prevenire le recidive del tumore, alleviare i sintomi, ridurre e/o stabilizzare le dimensioni del tumore ipofisario e preservare la funzionalità ipofisaria. L’intervento chirurgico ha limitate possibilità di successo (inferiore al 50%) quando l’adenoma supera il centimetro di diametro massimo (macroadenoma), cosa che purtroppo accade in oltre il 70% dei casi, dato il costante ritardo diagnostico della malattia.

Vi è, quindi, una significativa esigenza non soddisfatta di ulteriori opzioni terapeutiche mediche sempre più efficaci per i pazienti con acromegalia, che nel 30-40% dei casi non raggiunge il controllo biochimico anche con le altre terapie standard (analoghi della somatostatina tradizionali, pegvisomant, radioterapia).

Da poco è disponibile una molecola, pasireotide – prodotta da Novartis -, un analogo della somatostatina di nuova generazione, che agisce sul tumore ipofisario somatotropo, causa dell’ipersecrezione di GH e conseguentemente della patologia acromegalica.

Grazie al suo più ampio profilo di affinità di legame per i vari sottotipi recettoriali della somatostatina (ha elevata affinità per quattro dei cinque recettori), pasireotide ha dimostrato una maggiore efficacia rispetto agli analoghi della somatostatina di prima generazione attualmente approvati per il trattamento dell’acromegalia.

Pasireotide rappresenta un’opzione di trattamento che negli studi clinici si è dimostrata efficace e sicura per quei pazienti non adeguatamente controllati con le attuali opzioni terapeutiche e per i quali il bisogno medico resta a oggi insoddisfatto.

Pasireotide è stato approvato dall’EMA (European Medicine Agency) nel novembre del 2014 per il trattamento dei pazienti adulti con acromegalia per i quali la chirurgia non è un’opzione, o non è stata efficace, e che non sono controllati adeguatamente dopo trattamento con analoghi della somatostatina di prima generazione