Intervista a Teresio Avitabile Professore ordinario di Malattie dell’apparato visivo presso l’Università di Catania Segretario SOI – Direttore della clinica oculistica dell’azienda ospedaliera universitaria “Policlinico-Vittorio Emanuele” di Catania

Il problema dei contenziosi tra medici e pazienti nel nostro Paese continua a essere insostenibile, malgrado siano pochissime le cause che finiscono con un risarcimento. Pesano su tutta la collettività gli enormi costi assicurativi, la medicina difensiva e l’esclusione dagli interventi chirurgici dei casi più a rischio. La SOI è da anni in prima linea per modifiche legislative che hanno l’obiettivo di riportare la responsabilità medica nelle sue giuste proporzioni

Professor Avitabile, Lei si occupa da molti anni del problema della responsabilità medica, che in Italia ha assunto una connotazione del tutto particolare. Possiamo dare un’“istantanea” aggiornata della situazione?

La situazione è quella ben nota a molti, ma la riassumo brevemente. Il problema della responsabilità professionale del medico si è aggravato perché negli ultimi 10-20 anni è cresciuto in modo esponenziale il numero dei contenziosi, cioè di procedimenti legali con richieste di risarcimento, da parte di pazienti per interventi medico-chirurgici non riusciti o sbagliati, o che hanno procurato lesioni. I motivi di questo boom sono diversi, e provo a elencarli: c’è una sorta di emulazione di un analogo processo già in atto nei paesi anglosassoni; c’è un’aspettativa sempre maggiore da parte dei pazienti, alimentata dagli enormi progressi della Medicina e infine c’è, purtroppo, un vero e proprio “business dei risarcimento”: alcune figure professionali vivono del contenzioso medico-paziente e hanno quindi interesse ad alimentare il fenomeno. Sottolineo, per dare la corretta prospettiva sulla questione, che il 90 per cento circa delle cause finisce con una archiviazione o un’assoluzione del medico.

Di quali cifre si parla? Esiste una stima realistica del numero dei contenziosi?

È difficile rispondere in modo preciso perché nel nostro Paese non esiste un registro dei contenziosi: abbiamo solo dati indiretti dall’ANIA, l’associazione di categoria delle compagnie di assicurazione, che parla di 30mila contenziosi all’anno. Ma sono dati almeno in parte falsati perché per un evento avverso possono essere citati cinque medici; dunque conteggiando le polizze possono risultare cinque eventi avversi. Capire poi quanti esattamente finiscono a risarcimento è difficile, ma come ho detto la percentuale è minima.

Quali risvolti ha avuto questa situazione sulla pratica clinica?

La prima conseguenza è che attualmente i medici sono molto più attenti rispetto al passato nell’effettuare un atto medico; ma questo è l’unico riscontro positivo, a fronte del quale sono numerosi quelli negativi. In primo luogo si è verificato un incremento enorme dei premi che i medici devono corrispondere alle compagnie assicurative per essere coperti da una polizza. Prendiamo per esempio gli oculisti: spendono 2400 euro all’anno se sono soci SOI, grazie a un accordo collettivo, mentre quelli che non sono iscritti arrivano a pagare 5000-6000 euro all’anno. La situazione è ancora più drammatica per altre specialità, in primis per la la ginecologia, in cui i premi possono arrivare a 18.000-20.000 euro all’anno. Sono cifre insostenibili, soprattutto per i giovani che si affacciano alla professione. Non bisogna trascurare poi che l’aumento dei costi finisce per scaricarsi sulla collettività, o perché le polizze le pagano le aziende ospedaliere, se si opera nel pubblico, o perché i privati aumentano a loro volta le parcelle.

C’è poi il problema della cosiddetta medicina difensiva…

Esattamente… ricordo per i non addetti ai lavori che per medicina difensiva s’intende la prescrizione di esami, visite o prestazioni mediche inutili, o non strettamente necessarie, che hanno l’unico scopo di preservare il medico dalla possibilità di un errore e quindi dal rischio di una causa. Si tratta di un problema enorme, che è stato definito il cancro occulto del sistema sanitario italiano: basti pensare che nell’ultimo anno per la medicina difensiva sono andate “bruciate” risorse per 15 miliardi di euro, cioè il 2 per cento del PIL, o in altri termini tutto il gettito fiscale dell’IMU, o TASI che dir si voglia… Senza contare che le le prescrizioni di esami non appropriati finisce per allungare a dismisura le liste di attesa: succede in particolare per la TAC o la risonanza magnetica.

Insomma alla fine sono sempre i cittadini che ci rimettono?

Direi proprio di sì. E non è finita: la medicina difensiva ha anche altre declinazioni, anche queste molto deleterie e pericolose. Una di queste è l’esclusione dei malati a rischio, che sono poi quelli più bisognosi di cure. Ciò significa che una parte dei chirurghi – che può arrivare al 25 per cento, secondo una recente indagine della Società Italiana di Chirurgia – non opera più pazienti che in passato avrebbe operato per evitare il rischio di complicanze o di fallimento, con conseguente rischio di contenziosi. Un’altra tragedia poco conosciuta al grande pubblico investe l’insegnamento. Il training dei nuovi chirurghi non viene più fatto con la serenità di un tempo, sia da parte dei discenti, più esposti al rischio a causa dell’inesperienza, sia da parte di chi insegna, che non se la sente più di mettersi a fianco a un giovane. È l’ennesima spirale pericolosa: prova ne sia che i giovani ormai fuggono dalle specialità chirurgiche, che invece in passato erano prese d’assalto.

Come si può uscire da questa situazione? La classe medica e in particolare la SOI quale posizione hanno assunto?

L’unica via d’uscita è che il legislatore ponga un freno al fenomeno, trovando una soluzione equa. La SOI si è battuta per cambiare la situazione nelle precedenti legislature, e un risultato importante è stato ottenuto con la Legge Balduzzi, che prevede, tra le altre cose, che nel caso di un contenzioso medico-paziente il giudice debba avvalersi della consulenza non solo di un medico legale, ma anche di uno specialista della branca di cui si sta trattando. Questo ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo, perché la presenza di uno specialista è comunque una garanzia di competenza, ma devo constatare con profondo rammarico che molti giudici ignorano questa legge nominando solo un medico legale.

E guardando avanti? Quali sono i possibili miglioramenti alla legge sulla responsabilità medica?

Attualmente ci sono cinque o sei proposte di legge con proposte valide che giacciono nei cassetti delle aule del Parlamento, e che speriamo confluiscano in una legge unica. Ecco alcuni principi che vengono ribaditi in queste proposte. Bisogna stabilire per esempio che la responsabilità medica deve ricadere sulle aziende ospedaliere e non sul singolo medico, che così entrerebbe a in sala operatoria più serenamente perché viene chiamato in causa solo per dolo o colpa grave. In questo modo si ridurrebbe anche il ricorso alla medicina difensiva. Inoltre, occorre fissare dei tetti, con apposite tabelle, ai risarcimenti che è possibile richiedere, in modo anche da far calare i premi delle polizze. Attualmente in oculistica vengono fatte richieste di milioni di euro che sono francamente assurde. Un’altra richiesta fondamentale è che per poter iniziare un contenzioso occorra una relazione scritta in cui un medico legale certifica che un certo danno o una certa lesione siano stati causati da un certo atto, errore od omissione da parte del medico in causa. Attualmente, basta un atto di citazione perché parta il contenzioso: ciò significa che si apre un fascicolo e viene nominato un giudice, per una questione che nella stragrande maggioranza dei casi si conclude con una archiviazione o un rigetto. E in caso di non accoglienza, ci dev’essere la condanna della parte soccombente a coprire le spese processuali. Infine dev’essere vietata la pubblicità che incita alle richieste di risarcimento.

E sul fronte della comunicazione al pubblico? Non dovrebbe anche in questo caso cambiare qualcosa?

Certamente sì, ed è per questo che noi della SOI chiediamo la collaborazione dei media. È chiaro che ci sono dei casi di malpractice o colpa grave in cui il medico, o meglio l’azienda ospedaliera se si tratta del settore pubblico, deve corrispondere un giusto risarcimento,nei tempi giusti, ma una percentuale di complicanze o di eventi avversi, per quanto possa essere ridotta, è ineliminabile. Prendiamo per esempio la cataratta, che è l’intervento chirurgico più eseguito al mondo e con percentuali di riuscita molto alte, ma il risultato non è garantito, e non potrà mai esserlo: esiste per esempio un’incidenza di infezioni del 2-3 per mille, che possono essere devastanti, con la perdita anatomica dell’occhio. Ma se l’intervento è stato eseguito correttamente, in una sala operatoria a norma, usando materiali monouso ed effettuando una disinfezione corretta, com’è imputabile il medico? Il paziente può aver contratto l’infezione una volta a casa. Il rischio c’è sempre e dev’essere accettato. E l’evento avverso non sempre ha un colpevole.