Nuove terapie sempre più efficaci e vecchi problemi ancora irrisolti. Queste le tematiche che verranno affrontate nell’ambito del Congresso SOI – un evento di grande valore scientifico, punto di riferimento per la formazione degli oculisti italiani – presentato nel corso della conferenza stampa tenutasi il 21 novembre u.s. presso l’Hotel Four Seasons di Milano

Si aprirà tra pochi giorni a Roma, da mercoledì 29 novembre a sabato 2 dicembre, presso il Waldorf Astoria Cavalieri – Via Cadlolo 101 – il 97° Congresso Nazionale della Società Oftalmologica Italiana, un’importante occasione di aggiornamento in un settore in cui l’avanzamento tecnologico è sempre decisivo per l’efficacia e la tollerabilità delle cure. Ma al centro dell’attenzione sarà ancora una volta il problema degli scarsi fondi destinati all’oculistica dal Sistema sanitario nazionale.

“La Società Oftalmologica Italiana – ha dichiarato Matteo Piovella, Presidente della SOI – intende fare chiarezza sui danni subiti dai pazienti a causa dei rimborsi sottocosto per la chirurgia della cataratta e della retina. E’ infatti in fase di organizzazione un tariffario minimo certificato da SOI sotto il quale non è possibile garantire la qualità e la sicurezza delle chirurgie oftalmiche. Tutti devono essere a conoscenza che la stessa chirurgia in Italia è rimborsata 700 euro e in Germania 3000 euro, e che di conseguenza la qualità e materiali utilizzati non possono essere gli stessi. La medicina non può essere paragonata alle svendite di fine stagione dei capi di abbigliamento. In caso contrario si gioca con la vita e la salute delle persone” – ha commentato Piovella.

Sarà anche quest’anno la città di Roma a fare da cornice al congresso della Società Oftalmologica Italiana (SOI). L’impegno profuso per la preparazione dell’evento è stato molto e ben finalizzato; l’obiettivo è stato mantenere alto l’interesse durante tutte e quattro le giornate, che saranno ricche di eventi e di opportunità di aggiornamento professionale per tutti gli oculisti italiani. Il programma toccherà infatti tutti i più importanti temi dell’oftalmologia medica e chirurgica: glaucoma, cataratta, traumatologia, chirurgia refrattiva, oftalmologia pediatrica, strabismo, neuroftalmologia, retina chirurgica, contattologia e ipovisione. Grande spazio sarà dedicato come di consueto alle novità tecnologiche, specialmente in ambito chirurgico, che garantiscono ai pazienti risultati sempre migliori in termini di efficacia e tollerabilità.
Purtroppo però il Congresso SOI sarà l’occasione per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su una tendenza in atto da alcuni anni nel nostro paese: il Sistema sanitario nazionale non destina all’oculistica risorse sufficienti a restare al passo con il progresso tecnologico. L’allarme viene lanciato da Matteo Piovella presidente SOI.

“La situazione è paradossale: nella chirurgia della cataratta, così come nella chirurgia refrattiva, noi italiani siamo opinion leader a livello mondiale e i nostri centri sono ritenuti di riferimento per tutte le ricerche cliniche in questo campo”, ha esordito Piovella. “Eppure questa competenza rimane quasi totalmente al di fuori del Sistema sanitario nazionale che, pur essendo responsabile tuttora del 95% delle prestazioni erogate ai cittadini, rischia la paralisi, perché la gestione non è competitiva rispetto agli strumenti di cui oggi disponiamo”.

Su molte delle prestazioni erogate in ambito oculistico, negli anni passati si è abbattuta la scure dei tagli ai finanziamenti, nelle gravi patologie come nei piccoli disturbi.

“Prendiamo per esempio il glaucoma, che, com’è noto, è un disturbo dovuto all’eccessiva pressione intraoculare: mentre finora uno degli interventi possibili consisteva nel ricostruire chirurgicamente il canale di scarico dell’umor acqueo, abbiamo oggi una serie di nuovi dispositivi – sostanzialmente dei bypass, dei piccoli tubicini, di plastica o metallo, impiantabili nell’occhio – che possono risolvere il disturbo più efficacemente e con più sicurezza”, ha continuato Piovella. “Ma per chi gestisce il Sistema sanitario nazionale, questo progresso non vale la spesa necessaria, e lo stesso si può dire per le maculopatie: da un paio di anni sono usciti sul mercato nuovi più efficaci e più duraturi, che però costano 5000 euro a fiala: il sistema pubblico non li passa nel nostro paese, a differenza di ciò che avviene per esempio in Germania”.

E i casi che si possono citare sono numerosi.

“Abbiamo spesso parlato della cataratta, l’intervento chirurgico più praticato nel mondo: in Italia il rimborso per l’intero intervento è inferiore al costo dei soli cristallini artificiali di ultima generazione ed è impossibile essere operati nel pubblico con le nuove tecnologie, come il laser a femotosecondi, che garantiscono un’estrema precisione e una drastica riduzione delle complicanze”, ha ricordato Piovella.“Pensiamo allora alla chirurgia della retina, una chirurgia molto più complessa della cataratta, che a maggior ragione ha bisogno del sostegno delle nuove tecnologie, di una struttura attrezzata, di una perfetta sintesi organizzativa e di sostegno economico, nonché di un adeguato periodo di training per i chirurghi: anche in questo caso, è impensabile che si vada avanti con l’idea che non valga la pena investire su questi miglioramenti continui, già implementati nella pratica clinica degli altri paesi avanzati”.

Sotto accusa è il principio secondo cui le prestazioni sanitarie erogate, in un sistema che diventa sempre meno sostenibile, devono essere costo-efficaci.

“Ma chi e in base a quali criteri decide che cosa è costo-efficace?, si chiede Piovella. “Sul ‘chi’ vorrei ribadire che per decidere bisognerebbe avere le necessarie conoscenze e competenze mediche sugli argomenti di cui si tratta, conoscenze e competenze che mancano sempre di più; sui criteri si potrebbe discutere a lungo, perché si tratta di criteri molto influenzabili dall’emotività dell’opinione pubblica, visto che per esempio viene destinato un fiume di denaro ad alcune terapie anche quando i benefici dei nuovi farmaci restano limitati e per questo discutibili. Ormai è ora di prendere una posizione responsabile per tutelare tutta l’oftalmologia. Per motivi non clinici gli interventi e le terapie in oculistica sono rimborsati agli ospedali sottocosto”.

Per questo, a beneficio dei pazienti SOI sta predisponendo un tariffario minimo sotto il quale a parere di SOI non sarà possibile garantire ai pazienti la miglior cura. Di conseguenza questa indicazione di SOI sarà utile ed impositiva anche per le assicurazioni che non possono pensare di continuare a rimborsare ai loro clienti importi insufficienti tarati sul sottocosto diffusi a livello ospedaliero. SOI continuerà quindi a fare pressione in tutte le sedi opportune affinché le cure oculistiche più adeguate e più aggiornate tornino a essere appannaggio di tutti i cittadini italiani garantendo rimborsi idonei per tutte le patologie oculistiche.
Tra le tematiche proposte spiccano:
Facili ma non troppo: un vademecum per non avere problemi con le lenti a contatto
Le lenti a contatto monouso sono ormai le più diffuse: garantiscono un ottimo profilo di efficacia e tollerabilità, ma per usarle senza correre rischi per gli occhi occorre tenere alcune semplici norme. Per molti soggetti ametropi, si tratta di un piccolo miracolo quotidiano: applicare le lenti a contatto e non sentirle più dopo pochi minuti. È bene però ricordare che le lenti a contatto, anche se molto ben tollerate, sono un mezzo protesico che produce una serie di modificazioni molto rilevanti alla superficie oculare. Per questa ragione, i portatori di lenti a contatto dovrebbero seguire alcune semplici regole per minimizzare i rischi per gli occhi. La prima raccomandazione per chi vuole portare lenti a contatto è di sottoporsi a una visita oculistica di idoneità presso un medico oftalmologo, evitando di affidarsi a figure tecniche che non hanno le competenze adatte – ha spiegato Pasquale Troiano, Consigliere SOI. La visita ha l’obiettivo di verificare la presenza di eventuali fattori di rischio e di capire se la lente a contatto può essere portata con tranquillità dal soggetto o se bisogna adottare particolari accorgimenti, come ridurre il numero di ore di applicazione, per esempio, per chi ha problemi di natura allergica. Una volta verificata l’idoneità, sarà il medico oculista a orientare il paziente verso la tipologia di lente – che potrà essere rigida, morbida o gas-permeabile – più adatta allo specifico tipo di occhio. La lente a contatto morbida è certamente la lente a contatto preferibile nella stragrande maggioranza dei casi – ha aggiunto Troiano. La lente rigida è riservata ai casi in cui la morbida per motivi tecnico-strutturali risulterebbe inadeguata: l’esempio classico è l’occhio con cheratocono, cioè una deformazione della cornea tale non poter essere corretta da una lente morbida. Le tipologie di lente morbide si differenziano poi per la durata: possono infatti essere a ricambio giornaliero, settimanale, quindicinale, mensile e trimestrale. Raramente si va oltre come durata, come invece si faceva alcuni anni fa, perché occorre ricordare che le lenti morbide, a lungo andare, diventano un ricettacolo di germi, per quanto sia accurata la manutenzione fatta. Più rapido è il ricambio più sicura è la lente”.
Degenerazione maculare: intervenire subito e con appropriatezza per salvare la vita
Per la forma essudativa della degenerazione maculare sono disponibili attualmente due farmaci in grado di bloccare molto efficacemente la progressione della malattia, che rappresenta attualmente una delle principali cause di cecità nella popolazione anziana. Ma la scarsa aderenza alla terapia e i problemi di organizzativi della sanità possono vanificare la terapia.
La degenerazione maculare è una patologia che colpisce la macula, la regione centrale della retina, deputata alla visione distinta. Si distinguono due forme di malattia, che possono dare come esito finale una grave ipovisione.
La prima è la forma atrofica, o secca, in cui si manifesta un’atrofia progressiva della macula, dovuta a un processo d’invecchiamento patologico. La seconda è la forma essudativa, o umida, con un’eziopatogenesi differente: dalla coroide, una lamina del bulbo oculare, si sviluppano vasi neoformati che, nel tentativo di vicariare una sofferenza ischemica, invadono la regione maculare.Prende il via il Congresso SOI

“Per la forma atrofica che rende conto di oltre l’80 per cento dei casi di degenerazione maculare, ci sono alcune molecole in fase di sperimentazione, ma non esistono farmaci attualmente approvati”, ha esordito Michele Reibaldi, della Clinica Oculistica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele di Catania.
Fortunatamente, invece, per la forma essudativa sono disponibili da alcuni anni due farmaci approvati, ranibizumab e aflibercept, che appartengono alla classe degli anti-VEGF: agiscono bloccando selettivamente a livello oculare l’iper-espressione del VEGF, il fattore di crescita dell’endotelio vascolare, e riescono così a impedire la crescita di neo-vasi nella parte centrale della retina, laddove questi vasi non dovrebbero esistere”.

Proprio per questo meccanismo di azione, non si tratta di molecole in grado di riparare il danno retinico una volta che questo è già stato prodotto.

“Perché questi due eccellenti farmaci possano agire in modo efficace, salvando il più possibile la vista al paziente, occorrono due condizioni fondamentali: che vengano somministrati prontamente quando inizia la formazione di neo-vasi nella retina e che venga seguito un rigoroso schema posologico”, ha sottolineato Reibaldi. “Per il primo anno si tratta in media di sei-sette somministrazioni, che vanno poi a decrescere nel secondo anno”.

La somministrazione avviene per via intravitreale: si tratta di un’iniezione nell’occhio che secondo le attuali disposizioni va eseguita in sala operatoria e per la quale esistono solo alcuni centri autorizzati per il trattamento di questa, come di altre forme di maculopatia.

“Questo fatto non favorisce certo l’aderenza alla terapia: basta pensare che si tratta solitamente di pazienti di oltre 65 anni di età, più o meno ipovedenti, che in alcune regioni magari abitano a 100 chilometri dal centro autorizzato, e devono quindi avere qualcuno disponibile ad accompagnarli all’appuntamento per la terapia, svariate volte nel corso di un anno”, ha continuato Reibaldi. “Inoltre, non è da trascurare il fatto che alcuni centri, riescono a fissare l’appuntamento con due-tre mesi di ritardo rispetto alla scadenza ottimale per un dato paziente: ci si trova spesso di fronte a oggettive difficoltà organizzative per questa terapia, e le liste di attesa purtroppo si allungano; nel centro in cui opero a Catania, per esempio, si eseguono 100-130 iniezioni intravitreali alla settimana, tutti da fare in sala operatoria”.

Il problema è che somministrare i farmaci senza la tempistica appropriata vanifica l’intervento terapeutico: il farmaco va letteralmente sprecato, con grave danno per le casse della sanità pubblica, considerato che si tratta di farmaci molto costosi.

“Il peso dell’aderenza alla terapia è evidente se si confrontano i risultati degli studi clinici condotti in condizioni controllate e quelli condotti nella normale pratica clinica”, ha aggiunto Reibaldi. “Se poi si guardano alcuni studi in paesi virtuosi, ci si rende conto di quale beneficio si avrebbe con una distribuzione e una compliance ideali: con questi farmaci, la cecità legale riconducibile alla degenerazione maculare può essere ridotta addirittura del 50 per cento, con enormi benefici in termini d’impatto sociale della malattia”.

“Per evitare le conseguenze peggiori della degenerazione maculare è fortemente consigliato recarsi dall’oculista non appena se ne avvertono i primi segni: una distorsione dell’immagine o la presenza di una zona di alterata visiono al centro del campo visivo sono i sintomi che devono subito destare allarme”, ha concluso Reibaldi.

Incertezze e poca trasparenza: sui Consulenti d’Ufficio (CTU)la SOI Consulenti Tecnici D’ufficio E Periti Nella Legge Gelli: il Consiglio Superiore della Magistratura(CSM) aggiunge incertezze alle incertezze, escludendo ogni rilevanza e considerazione alle specifiche regole cliniche della Medicina.
SOI plaude per l’interessamento e l’intervento diretto da parte del CSM, volto a indirizzare i Giudici nell’astenersi da azioni e interpretazioni personali disarmoniche ai dettami della nuova legge, ma al tempo stesso rileva che il fondamento della Legge Gelli/Bianco è di certificare la indispensabile prevalenza di esperienza clinica personale diretta sull’oggetto del contenzioso da parte dei CTU nominati dai Giudici.
Come è noto, l’art. 15 della legge Gelli (n. 24/17) statuisce che “Nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia ad un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento (…)”articolo a sostegno del quale SOI si è battuta in tutte le Commissioni preposte per imporne nuovamente l’inserimento dopo lo strumentale stralcio avvenuto notte tempo”. L’innovazione apportata dalla norma è radicale e proprio in questi giorni sul punto si è espresso il C.S.M. (Consiglio Superiore della Magistratura) con una risoluzione i cui contenuti sono assolutamente allarmanti.
Vorrei fare alcune precisazioni, ha spiegato Matteo Piovella. Innanzitutto, il Consiglio rileva come con l’affiancamento fra medico legale e specialista, la disposizione in esame, intenda fornire “la garanzia di un collegamento fra sapere giuridico e sapere scientifico, necessario per consentire al giudice di espletare in modo ottimale la funzione di controllo logico razionale dell’accertamento peritale”. E su questo punto siamo tutti d’accordo!
Ma quando si parla invece che in tale prospettiva, i professionisti sanitari che si iscrivono negli albi presso i Tribunali devono indicare e documentare l’esperienza maturata “con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati”, qui non ci siamo proprio.

“Se si vuole far entrare la scienza nelle aule dei Tribunali italiani – ha spiegato Piovella – cosa centra andare a vedere quanti incarichi ha svolto il professionista sanitario a favore dei Tribunali italiani? Tutti sanno che i professionisti bravi non si dedicano a queste funzioni. Se sono bravi lavorano come medici chirurghi e, salvo casi eccezionali, non frequentano le aule di giustizia. Punto e basta. Quindi questo criterio non risulta condivisibile: anzi rischia di far prevalere i “soliti noti” quelli che, incapaci di crearsi uno spazio nella professione, si dedicano a lucrare sulla professione dei colleghi proponendosi come consulenti e periti a favore dei pazienti o di legali (avvocati e magistrati) compiacenti”.

Al fine di uniformare sul territorio nazionale l’applicazione di questa disposizione, il CSM ha coinvolto i soggetti interessati (magistratura, avvocatura e ordini dei medici) finalizzato a definire il procedimento di revisione degli albi, in modo da garantire una “adeguata e documentata qualificazione professionale degli iscritti”. Tralasciando gli aspetti relativi ai tempi di attuazione, rileva soffermare l’attenzione in merito alle modalità di modifica degli albi. Sul punto il Consiglio rileva la necessità di suddividere le specializzazioni dei consulenti e periti sulla base di disposizioni uniformi in tutto il Paese individuate dalla FNOMCeo. Il singolo Ordine dei medici locale dovrà fornire una “specifica scheda personale su ogni consulente e perito iscritto” con indicati i principali profili di competenza che dovranno essere verificati dall’Ordine di appartenenza.

“Qui siamo all’assurdo – ha commentato Teresio Avitabile, Segretario e Tesoriere della SOI. Invece di coinvolgere le società scientifiche – uniche deputate ed in grado a definire se un collega è veramente capace in una determinata attività terapeutica o chirurgica, il CSM decide di rivolgersi agli ordini professionali che non hanno alcuna competenza sul punto, ma soprattutto, a loro dire, non sanno neanche il numero dei medici specialisti e non sanno come fare per averlo! In realtà, leggendo il documento emerge che al momento, in ambito sanitario, il CSM ha dialogato solo (ed esclusivamente) con l’ente rappresentativo della professione medica: la FNOMCeo”.

Se questa impostazione non viene modificata coinvolgendo tutte le realtà professionali esistenti nel mondo sanitario, il sistema che si determinerà sarà sempre lo stesso. Nelle aule giudiziarie si favoriranno i “soliti noti”- ha concluso Piovella.
Per quanto riguarda l’oftalmologia, la Società Oftalmologica Italiana si porrà come garante del sistema, controllando – anche grazie al proprio efficiente sistema assicurativo – “chi dice cosa contro chi” in tutti i Tribunali italiani, favorendo l’inserimento di colleghi bravi e occasionalmente imprestati alle attività di specialista nei collegi dei Giudici, monitorando la qualità scientifica delle affermazioni fatte e contrastando – con assoluta forza e fermezza – chi si permette di aggredire i colleghi con affermazioni scientificamente infondate (se non faziose o false) – gli fa eco a conclusione Teresio Avitabile.