Per maculopatie retiniche una cura adeguata ed efficace

In Italia ci si cura il 70% in meno rispetto Francia Germania ed Inghilterra

Nel nostro Paese assistiamo ad un caso unico dovuto alla grande confusione  di cui approfittano le multinazionali con i loro interessi miliardari. Anche le istituzioni che hanno compiti di vigilanza, non avendo dati di riferimento, non sono in grado di sostenere una politica sanitaria libera da ogni condizionamento e fondata sulla medicina basata sulla evidenza.

Il Presidente SOI, Matteo Piovella, esprime grave preoccupazione circa le informazioni ed i dati forvianti  diffusi in Parlamento dal Sottosegretario alla Salute On. De Filippo: “In ambito medico, le leggi del nostro Paese, obbligano tutti gli operatori, nessuno escluso, ad una precisa assunzione di responsabilità. La politica non può  chiamarsi fuori dal necessario processo di controllo basato sulla competenza e la capacità”.

 Negli ultimi anni SOI – Società Oftalmologica Italiana, fondata nel 1869, Ente Morale giuridicamente riconosciuto che agisce da  150 anni a difesa della vista e rappresenta il riferimento istituzionale dei 7000 oculisti italiani – è stata costretta a lottare ad ogni livello, Scientifico e Istituzionale, per affermare l’oggettiva verità sulla cura delle Maculopatie e sul rapporto esistente fra i farmaci Avastin e Lucentis.

Un compito gravoso che SOI ha assunto anche per dare concreta attuazione alle proprie finalità statutarie:

–       “la tutela e salvaguardia della salute visiva della collettività, ispirandosi ai principi della prevenzione, cura e riabilitazione sanciti nelle convenzioni internazionali e nella costituzione italiana in materia di diritto alla salute” (Titolo 1 – Articolo 1 dello Statuto SOI);

–       “l’approccio esclusivamente scientifico ad ogni problematica, a prescindere da qualsiasi  interesse di parte,  attraverso il supporto di Studi Scientifici e di Dati, reperiti a livello Nazionale ed Internazionale in campo Oftalmologico”.

Una lotta che ha portato ad evidenziare l’insussistenza scientifica delle incondivisibili decisioni assunte dall’AIFA nel 2012: mentre i vertici AIFA lanciavano preoccupanti segnali di allarme sull’uso di Avastin, arrivando a toglierlo dalla lista 648 ( farmaci rimborsabili dal SSN) e disponevano monitoraggi dall’eterna durata che non hanno mai portato alcuna evidenza (nonostante le richieste di Tribunali della Repubblica e le critiche del Consiglio di Stato) , SOI produceva i dati internazionali sull’uso dei farmaci con il supporto di Studi indipendenti basati su milioni di casi, battendosi per il riconoscimento dell’evidenza della perfetta equivalenza dei farmaci Avastin e Lucentis.  A riprova di questa azione giusta e meritoria, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità includeva il solo Avastin nella lista dei Farmaci Indispensabili per la cura delle Maculopatie.

Ciò malgrado nulla cambiava.

Solo nel 2014, dopo la clamorosa sentenza Antitrust al termine di un’istruttoria avviata in seguito ad una denuncia presentata da SOI, nel nostro Paese si riaccendeva l’attenzione sul problema.

Ma anche in tal caso le Istituzioni sono rimaste assolutamente latitanti: nonostante gli Ispettori dell’Autorità per la Concorrenza avessero trovato ampio scambio di corrispondenza tra gli Amministratori delle Società produttrici dei due farmaci (Roche e Novartis), con la quale si pianificava a tavolino una strategia basata proprio sul fatto che uno (Avastin, ovviamente il meno costoso) doveva risultare inadeguato e pericoloso ad esclusivo vantaggio dell’altro (Lucentis, il più caro).

Ciò malgrado nulla cambiava.

Certo, il Consiglio Superiore di Sanità,chiamato ad esprimere un parere sui due farmaci, non poteva che pronunciarsi prendendo atto della loro assoluta equivalenza: ciò nonostante, inseriva alcune disposizioni sull’utilizzo di Avastin, soprattutto incentrate sulla delicata fase del frazionamento che, di fatto,riprese in modo improprio da AIFA, ne impedivano l’utilizzo.

Anche in questo caso siamo costretti a rimarcare come si siano volute ignorare e disattendere tutte le esperienze acquisite e consolidate da anni in tutto il mondo , fondate sulle linee guida scientifiche diramate da SOI in merito alle modalità di frazionamento, a vantaggio delle Farmacie Ospedaliere, istituite da anni e mai divenute operative, salvo rarissime eccezioni e che comunque non hanno mai evidenziato un interesse per il frazionamento di Avastin.

Quindi: ciò malgrado nulla cambiava.

A fronte di questi ultimi sviluppi SOI nel febbraio 2015 iniziava ad inviare appelli ai massimi vertici dello Stato, allegando anche della specifica documentazione. Per far fronte alla assoluta carenza di dati ed informazioni da parte delle Istituzioni preposte al controllo, la SOI ha inviato appostiti questionari ai Direttori di struttura (ex Primari) universitari e ospedalieri di 215 strutture sanitarie dislocate su tutto il territorio, dai quali è emerso con assoluta chiarezza che:

–       AVASTIN – Gli ospedali che in Italia fanno uso di Avastin sono drasticamente diminuiti dall’adozione dalle assurde restrizioni adottate. In particolare i dati IMS attestano che l’utilizzo di Avastin nel nostro Paese è passato dal 58% nell’anno 2012  al 18% nel 2015, mentre l’uso di Lucentis ha avuto un incremento di quasi 20 punti percentuali, passando dal 38% del 2012 al 55% del 2015. La spesa sostenuta per i due farmaci evidenzia ancor di più questa disparità di utilizzo. Nell’ultimo anno (Marzo 2014 – Febbraio 2015) in Italia si sono spesi solo 337.000 euro per Avastin  (precisiamo ad uso oftalmologico, considerato che c’è ancora chi finge di non capire che i dati inerenti l’utilizzo ed  il costo di Avastin per uso oncologico non sono di nessun interesse anzi ma sono solo un strumentale modo per dimostrare il contrario della realtà), 142 milioni di euro per Lucentis e 18 milioni per Eylea.

–       CURE INTRAVITREALI – i danni procurati da questa situazione si ripercuotono inevitabilmente sui pazienti; mentre le Istituzioni stentano a  comprendere la gravità della situazione lo Stato spende inutilmente centinaia di milioni di euro e i  pazienti che accedono alla cura risultano essere quasi due terzi  in meno rispetto alla media europea dei Paesi simili al nostro (Francia, Germania, Inghilterra).

Nonostante il quadro desolante emerso, le Istituzioni continuano a non assumersi nessuna responsabilità e non prendono alcuna posizione. In questi giorni è stato pubblicato il contenuto di  quanto affermato dal Sottosegretario De Filippo,che in risposta ad una interrogazione parlamentare, ha presentato (finalmente) dei dati che per quanto ci consta il Ministero sino ad oggi non ha mai avuto o non ha mai voluto divulgare.

Eppure analizzando i contenuti di quanto scritto si direbbe che il Sottosegretario racconti quanto accade in un altro Paese: certamente non si tratta dell’Italia!

Afferma il Sottosegretario: secondo lui ci sono millecinquecentododici centri autorizzati per la somministrazione di Avastin, con una spesa di 172 milioni di euro per Avastin contro 79 milioni per Lucentis!

I casi sono due: o sono falsi di dati espressi dai Direttori di struttura oftalmologica italiana o sono inesatti ed incomprensibili i dati esposti dal Sottosegretario.

Oppure … Oppure, al fine di recuperare all’ultimo minuto dei dati mai avuti, nel tentativo di fornire una visione positiva al Paese sul rispetto di quanto sostenuto nelle sentenze e dall’evidenza scientifica, si è costruita una frettolosa ed approssimativa rappresentazione della realtà, inserendo dei dati relativamente alla spesa per l’Avastin unendo al (quasi inesistente) uso oftalmologico, anche gli acquisti fatti per il suo uso  in campo oncologico sostenendo che, ad esempio, in Lombardia ci sarebbero 396 (fantomatici) centri autorizzati, per non parlare (ancor più fantomatici) dei 118 della Calabria dove per assurdo esisterebbero più centri di eccellenza che medici oculisti esperti per le terapie intravitreali !

Ma non basta. Scorrendo l’elenco diffuso dal Ministero della Sanità sui presunti Centri autorizzati in Italia per la somministrazione ad uso oculistico di Avastin si scopre che molte strutture sono riportate più volte e che quindi il numero complessivo reale è di molto inferiore a quello enunciato di 1.512 centri.

E ancora: dalla lettura dell’elenco prodotto dal Ministero diviene davvero difficile comprendere quali criteri siano stati seguiti per individuare i centri “ad alta specializzazione” in grado di erogare Avastin. Più che altro appare che sia stato semplicemente redatto un elenco delle strutture che erogano prestazioni di oculistica. Come si può altrimenti spiegare la presenza in elenco di strutture dove non esiste un reparto di oculistica ma solo – forse – un ambulatorio territoriale non chirurgico? Tutti sanno che in Italia  una corretta e sicura terapia intravitreale deve essere eseguita in sala operatoria.

Ad esempio:

– Ospedale San Carlo Borromeo di Milano

– Centro Traumatologico Ortopedico degli ICP di Milano

– Istituto Europeo di Oncologia di Milano

– Istituto Neurologico Besta di Milano

– Istituto dei Tumori di Milano

– Istituto Cardiologico Monzino

Scremando il succitato elenco dai doppioni e dalle strutture che notoriamente non erogano questo tipo di prestazione forse restano a malapena 150 centri.

Inoltre secondo le tabelle Ministeriali i pazienti trattati con Avastin (nel periodo 2008 – 2014 secondo la richiesta dell’interrogante) sarebbero 6.471 con un numero di dispensazioni del farmaco di 13.690 unità. Ciò significa che quei pazienti hanno ricevuto in media 2,1 iniezioni. Siccome il protocollo di trattamento universalmente condiviso dalla comunità scientifica internazionale prevede una loading phase di 3 iniezioni consecutive a distanza di 1 mese e poi la prosecuzione del trattamento in base all’andamento del quadro clinico (as-needed regimen oppure treat and extend regimen) con un numero medio di somministrazioni per occhio trattato di 7 per anno, si deve desumere che nessuno dei 6.471 pazienti trattati con Avastin sia stato trattato come avrebbe dovuto poiché per nessuno di essi è stato possibile completare neanche la loading phase. Il sottosegretario non si rende conto che avrebbe certificato con questi numeri presentati in un’aula del Parlamento italiano per rispondere ad una Interrogazione Parlamentare  che questi pazienti sono inevitabilmente divenuti ciechi per mancanza di un trattamento adeguato. Peccato che i dati veri presentati da SOI, testimoniano che nello stesso periodo 2008 – 2014 centinaia di migliaia sono stati i pazienti trattati con Avastin per uso oculistico.

Il deprimente quadro non migliora di molto con i dati Ministeriali su Lucentis.

In questo caso i pazienti sarebbero 47.875 e avrebbero ricevuto 173.404 iniezioni, equivalenti a una media di 3,6 iniezioni. Almeno qui sembrerebbe completata la loading phase ma certamente questi pazienti non hanno potuto proseguire la terapia secondo l’andamento del quadro clinico che anche per questo farmaco porta a una media di 6 iniezioni per anno. Pertanto anche questi pazienti sono divenuti ciechi per mancanza di un trattamento adeguato.Infine, se sommiamo i pazienti trattati per tutte le indicazioni abbiamo 79.008 pazienti che hanno ricevuto 265.120 iniezioni con una media di 3,3 iniezioni a paziente. Anche per Lucentis, i numeri non corrispondono alle centinaia di migliaia di pazienti trattati nel periodo 2009 – 2014.

Se confrontiamo questi dati con quelli di altri paesi con popolazione simile a quella italiana come Francia e Inghilterra comprendiamo immediatamente che la popolazione anziana italiana con maculopatia viene, di fatto, abbandonata al suo destino di cecità:

–       in Francia nel 2014 sono stati erogati 665.274 trattamenti;

–       in Inghilterra 641.301

Tre volte più che in Italia.

Alla luce di quanto sopra, riteniamo doveroso sollecitare ancora una volta i Vertici Istituzionali affinché questa ridicola situazione tutta Italiana nella quale ci si ostina a voler affrontare in modo inadeguato e superficiale un problema drammaticamente serio che coinvolge la salute visiva della cittadinanza sia definitivamente risolto.

Le irricevibili moltiplicazioni dei pani e dei pesci non servono ai pazienti per poter continuare a vedere.