Dopo la sofferta qualificazione in coppa Italia da parte del Milan mi preme fare un particolare encomio a Giacomo Bonaventura decisivo anche ieri sera.
Un elogio sui generis.
Ecco quello che voglio esprimere nei confronti di Giacomo Bonaventura centrocampista (ma anche trequartista, attaccante, laterale, ecc.) ventiseienne dell’ AC Milan 1899.
Mi direte, troppo facile lodare un giocatore della squadra di cui sono tifoso da oltre 40 anni.
Ma il panegirico che dedico a “Jack” va oltre la passione per i colori della maglia a strisce rossonere, perchè il mio plauso oltrepassa il tifo e si incentra e si basa su cosa rappresenti Bonaventura nel calcio di oggi.
Lo si definisce giocatore moderno, perchè interpreta qualunque ruolo in mediana offrendo sempre e comunque ottime prestazioni.
Io credo e sostengo, invece, che il centrocampista di origini marchigiane cresciuto nelle giovanili della Atalanta BC (il vivaio orobico è sempre fucina di giovani talenti fin dalla metà degli anni 80; di esempi ve ne sono tanti; su tutti Donadoni, Morfeo, Scirea,il “povero” Pisani, ecc.), sia il prototipo del calciatore di qualche decennio fa, dei calciatori “veri” con la C maiuscola.
Serio, volenteroso, tenace, sia in gara che negli allenamenti.
Un impegno che lo si evince da come “sta in campo”.
Si propone in ogni azione d’attacco, aiuta il compagno che porta palla, “detta” il passaggio, si assume responsabilità anche non richieste, fornisce assist, è un buon realizzatore pur non ricoprendo il ruolo di attaccante puro, difficilmente perde palla, segna anche su punizione e la squadra conquista terreno e l’inerzia del gioco non appena il pallone è tra i suoi piedi.
Ma l’aspetto di Bonaventura che fa di lui un ottimo giocatore, il migliore a mio modesto parere in questo mediocre Milan di questi anni tribolati (basterebbero altri due giocatori del suo livello per poter ambire al terzo posto che ci garantirebbe l’agognata e ricca partecipazione alla Champions’League), è l’umiltà in campo e fuori; si badi umiltà che non vuol significare mediocrità ,anzi….
Osservatelo.
Non ha una pettinatura vistosa, niente creste, niente colorazioni fosforescenti dei capelli, non fa sfoggio di vistosi tatuaggi su braccia, gambe, collo e in qualunque altra parte dell’epidermide non coperta dalla maglia e dai calzoncini, non ostenta orecchini in oro giallo o bianco con incastonati diamanti da un carato e oltre, e “fuori dal campo” ha una “mise” sobria, distante anni luce da molti suoi colleghi.
Assomiglia ai calciatori di venti, trenta anni fa.
Impegno garantito, nessun eccesso e stravaganza (alcune eccezioni furono Maradona, Caniggia, e più indietro nel tempo Gigi Meroni, tanto per citare i più famosi), e una vita extra-calcio poco caratterizzata da movida e copertine platinate dei maggiori giornali di gossip.
Il tutto basato su un vero e sentito attaccamento alla “maglia”, al rispetto dei tifosi e della società che retribuivano lautamente (non certo ai livelli di oggi) le loro prestazioni pallonare.
Era “la regola” non scritta che caratterizzava quel calcio.
Due aneddoti che rendono ancora più chiaro l’ambiente.
Dono Zoff, portiere della Juve, campione del mondo nel 1982, dopo una serata a festeggiare la vittoria di un campionato, prova imbarazzo per essere rincasato alle prime luci dell’alba perchè sta pensando a suo padre che a quell’ora si alzava per andare a lavorare nei campi.
Giancarlo Danova ala (si definivano così gli esterni d’attacco) rossonera degli anni 50, raccontava spesso che il suo allenatore, Gipo Viani, gli requisì la sua prima automobile acquistata all’età di 20 anni perchè quell'”oggetto di lusso” gli avrebbe fatto “montare la testa” (per la cronaca per mesi Danova dovette recarsi a Milanello con la corriera).
Evidentemente era un altro mondo, un’altra società, un altro calcio.
Un calcio in cui gli esosi procuratori non esistevano e non spadroneggiavano facendo del mondo pallonaro un circo mediatico basato sull’apparenza, l’immagine, gli sponsor, i soldi (tanti, troppi), e pochi valori.
Ecco Bonaventura, finora, assomiglia molto a quel tipo di calciatori.
Assomiglia, assolutamente in piccolo (non me ne vorrà Giacomo) ad un campione proveniente anche lui dall’Atalanta, che si chiama Roberto Donadoni, definito da Michel Platini come miglior giocatore degli anni novanta.
Giocatore e campione assoluto, con un carattere schivo, un po’ introverso, tipico della sua terra natia caratterizzata dal culto del lavoro, del sacrificio, lontana e refrattaria alla ribalta della cronaca, della mondanità, del clamore mediatico.
Un’immagine che Donadoni possiede ancora oggi dopo oltre 30 anni di carriera come calciatore e come allenatore. Una mancanza di telegenia che gli impediscono di sedere sulla panchina del Milan (così si dice). 
Mi auguro che Bonaventura possa ripercorrere quella gloriosa carriera anche in minima parte, ma che soprattutto, continui a essere una persona “posata” come lo è stato finora.
Qualche anno fa quando indossava ancora la maglia dell’Atalanta gli fu chiesto il motivo della mancato approdo in compagini più famose e ricche, nonostante le ottime stagioni che disputava.
La risposta che diede fu un ennesimo esempio del suo stile di vita. “Non gioco in grandi squadre perchè non faccio parte di certi giri, perchè non frequento certi ambienti….”
Intervista che mi sorprese molto positivamente e che mi fece pensare che nel calcio di oggi esistono ancora persone old-style.
Una speranza, però, con il timore che svanisca presto, da quanto si apprende dalle cronache di questi ultimi giorni.
Pare che il centrocampista rossonero abbia rescisso il contratto con il suo storico procuratore per entrare a far parte della scuderia di agenti più noti e più addentro i meccanismi perversi del calcio moderno.
C’è stata la netta e decisa smentita da parte di Bonaventura.
Mi auguro che sia così, soprattutto per il ragazzo, che rischia di rovinare la sua immagine, il suo “stile”, la sua carriera, e deludere chi crede ancora nel “vero calcio” quello un po’ vintage, quello che ha fatto sognare generazioni di tifosi. 
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)