Il derby, qualunque derby di qualunque categoria, è fatto di episodi, chiacchiere, scaramanzie, “segni”, dichiarazioni.
Anche il derby di Milano di ieri sera è stato tutto questo.
Sono quasi quarantanni che assisto alla stracittadina di Milano (il primo fu la finale di coppa Italia del 1977).
Quarantanni, quanto tempo e quanti ricordi.
E quanto pathos che produce quella partita.
La tradizione dice che vince chi è sfavorito alla vigilia; chi è “dietro” in classifica; chi si “nasconde” per tutta la settimana e non fa proclami di vittoria.
Una partita che produce premonizioni, presentimenti per tutta la settimana fino al fischio d’inizio
Avevo il terrore di ascoltare le parole di Mihajlovic nella conferenza stampa del venerdì visto il carattere dell’allenatore serbo, che io ho sempre definito “solo chiacchiere e distintivo”, che per tener fede alla sua nomea di “sergente di ferro” si prodiga in dichiarazioni che sono un concentrato di superbia e pomposità.
E, invece, da due settimane dopo la scoppola contro il Bologna ho notato, con mia soddisfazione, che Mihajlovic ha diminuito la sua prosopopea e “il distintivo” da sergente di ferro lo ha tenuto celato nel taschino della tuta da rappresentanza.
E ‘stato “schiscio” e ha volato basso.
Buon segno.
Secondo presagio favorevole, le coreografie delle due curve.
Dal mio seggiolino del I anello blu non riuscivo a scorgere nitidamente cosa era disegnato sull’enorme stendardo che ricopriva l’intero settore.
Era in grado solo di osservare una vecchia maglia dell’ Inter degli anni 80 con lo sponsor Misura.
Poi, grazie alle nuove tecnologie elettroniche, tramite lo smartphone di uno spettatore seduto qualche fila più in basso, ho scoperto che la coreografia milanista rappresentava il famoso gol di testa di Mark Hateley nel derby del 28 ottobre 1984 che soverchiava “l’infame” Collovati.
Quel gol era ed è ancora oggi un’ icona.
Quel derby, fu “il simbolo” della rinascita rossonera dopo gli anni bui della B; la prima vera gioia attesa, agognata, meritata.
Mi sono sentito come Costantino (chiedo scusa per l’accostamento delle cose sacre con le cose profane): “In hoc signo vinces” ho pensato.
Terzo segnale premonitore.
Le due formazioni.
L’Inter infarcita di attaccanti e mezzepunte con uno schieramento rivoluzionato rispetto le ultime apparizioni (uno schieramento scombiccherato) con i terzini di fascia invertiti (J.Jesus a sinistra e Santon a destra) e con il chiaro intento di aggredire l’avversario con un gioco offensivo spregiudicato.
Milan più accorto arroccato sulla difensiva e pronto al contropiede.
“La superbia va sempre a cavallo, ma ritorna sempre a piedi”, dice un antico proverbio popolare, e ieri sera l’umiltà di Mihajlovic è stata premiata.
L’umiltà che è un vocabolo che non fa parte del dizionario del Presidente Berlusconi che vorrebbe sempre che la sua squadra “sia padrone del campo e del giuoco” , ma se gli “ingredienti” che ha fornito agli allenatori sono sciapi, si deve gioco forza cucinare una minestra con quello che passa il convento per ottenere un piatto nutriente e anche gustoso.
Ed è quello che sta facendo Mihajlovic da due settimane.
In termini pallonari, catenaccio e contropiede.
E sì, perchè il Milan oggi può suonare solo quello spartito con gli “interpreti” che ha a disposizione.
Catenaccio e contropiede (pardon ripartenze come si usa dire oggi) sfruttando la velocità di Niang, Bacca, Bonaventura.
Il suo amico, nonchè “maestro e mentore” Mancini, invece ha indossato gli abiti sgargianti della superbia e la nemesi calcistica, la Dea Eupalla (cit. G.Brera) lo ha miseramente punito.
Punito dagli episodi, il rigore calciato sul palo, gli errori sotto porta, la sua espulsione nel momento topico della gara (ecco un altro segnale premonitore) e allora oltre a farlo “ritornare a piedi” la superbia l’ha fatto ritornare coi piedi per terra, dall’aurea sulla quale era salito da tempo; è atterrato “umilmente” come un “Icaro qualunque”.
E’ vero, il Milan ha abiurato il “credo calcistico” di questi ultimi 30 anni, ma dovendo fare di necessità virtù, ha seguito le orme di coloro che furono i “santoni” del catenaccio italico, della tattica casereccia e rustica che ha prodotto gradi vittorie.
Basti ricordare il Paron Rocco (che era solito rispondere a coloro che auguravano che vincesse il migliore,con un stringato “sperem de no…..”) o il “vecio” Bearzot, CT degli azzurri che con quella tattica conquistò il mondiale del 1982 disputando e vincendo le più belle partite della storia della nazionale italiana (“muralla e contaataque erano le parole che pronunciavano i taxisti, i ristoratori, i baristi iberici quando incontravano un italiano durante quella calda estate).
Ho scomodato due miti, ma l’ebbrezza per la vittoria di ieri mi sta facendo fare dei voli pindarici.
Sto paragonando Mihajlovic a certi “mostri sacri” e non è bello, oltre a essere giusto, ma l’ allenatore serbo, interista, laziale, romanista, sampdoriano e anti-milanista dichiarato, si è guadagnato “l’indulgenza plenaria Giubilare” dei suoi “peccati” passati con questa storica vittoria.
Ha attraversato anche lui “la porta santa” del tempio rossonero e le mie feroci critiche nei suoi confronti si fermano a ieri, alle ore 22:38, orario in cui sono uscito da S.Siro.
La gara non era ancora terminata e nutrivo l’intenzione di sostare sugli spalti per salutare la squadra che sarebbe venuta sotto la curva a festeggiare insieme ai tifosi, ma non appena ho scorto il cartello del quarto uomo che annunciava l’ingresso in campo di K.P. Boateng (l’emblema di cosa sia stato in questi anni il Milan 1899 e cosa sia il calcio oggi basato solo su Marketing, apparenza, “fuffa” ), ho raggiunto frettolosamente il cancello d’uscita per non rovinarmi quella piacevole sensazione vissuta tante altre volte in questi 40 anni di tifo.
Con la foschia che scendeva leggera a inumidire le strade, i marciapiedi, i fabbricati, mi sono accorto che non si distinguevano e non si individuavano le orme dei miei piedi, perchè stavo camminando “tre” (come i gol) metri sopra il selciato nero dell’asfalto, con la laringe infiammata e un’afonia acuta procurate dalle urla di giubilo che da anni non emettevo durante le partite del Milan.
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)