Con la sempre passione che mi accompagna e accompagna i miei colleghi di tifo, nonostante anni di delusione e promesse non mantenute (meglio definirle menzogne propinate dalla società di via Aldo Rossi) anche ieri sera al seguito della maglia a strisce rossonere in quel di Torino sponda bianconera, J-Stadium.
Ennesimo risultato negativo, una costante di questa stagione mediocre simile alle precedenti.
Nell’attesa (più di un’ ora abbondante) di poter guadagnare l’uscita, osservando l’avveniristico impianto, mi è balzato alla mente che, anche nello sport, come spesso accade nella vita, si è in balia della Nemesi.
La serata luminosa grazie al vento di Fohn che ha spazzato la coltre nebbiosa che ha ricoperto la Pianura Padana per l’interra settimana, faceva, ancor maggiormente, apparire, con mia ammirazione (ammirazione che ha provocato in me una malcelata invidia, la struttura avveniristica dell’impianto bianconero.
Nonostante i colori sociali della società torinese lo stadio è un florilegio di nuance, di immagini, di emblemi di trofei vinti, di date, di seggiolini che compongono lo stemma e il nome della società; i posti a sedere sono confortevoli sia per l’ergonomia, sia per lo spazio della seduta.
Uno stadio moderno con tutti i comfort e le sicurezze (addirittura eccessive) dei più moderni impianti europei, in linea con i dettami del calcio moderno, del calcio marketing, tanto che, il costo del biglietto d’ingresso è notevolmente superiore rispetto il prezzo medio praticato da tutte le altre società calcistiche della massima serie italiana.
Questo stadio mi è parso essere un “dono” della Nemesi del calcio.
Per decenni noi milanisti oltre all’orgoglio di tifare per una squadra gloriosa, vincente, con un blasone non comune, avevamo la fierezza di giocare in uno stadio unico nel panorama calcistico italico.
Niente pista d’atletica, spalti a ridosso del terreno di gioco, gradoni che permettevano di assistere alla partita comodamente seduti e con la maggior capienza d’ Italia.
Uno stadio all’inglese, un impianto progettato proprio per il calcio, se poi ci aggiungiamo che fu costruito dal nostro presidente Pirelli a metà degli anni 20 del secolo scorso si può ben capire su che “fondamenta” si erigeva il nostro orgoglio.
E questo vanto, unito alla presenza sempre numerosa della tifoseria che seguiva sempre e ovunque la squadra, lo si “spendeva” anche nei periodi bui della nostra storia calcistica (le due stagioni in cadetteria, i nostri presidenti poco credibili e spesso in balia della giustizia italiana), nelle discussioni con chi vinceva, chi dominava come i “seguaci della famiglia Agnelli”.
Loro, i “gobbi” disputavano le partite casalinghe al vecchio Comunale, un impianto orrendo edificato durante il ventennio fascista; dotato di un’ enorme pista d’atletica, con un muro di recinzione esterno perennemente scrostato, con archetti di ferro disseminati sui gradini delle tribune con la funzione di contenimento e anti caduta; scalinate di uscita collocate nella parte anteriore degli spalti più simili a balconi di palazzoni in stile IACP; gli ingressi per ogni settore avevano un paio di strette aperture dove si accalcavano migliaia di persone che formavano una massa uniforme e caotica che si muoveva come un’ onda di mare forza sette da dove chi era più prestante riusciva a uscirne prima e indenne; la tribuna centrale con doppia copertura, una che copriva solo la parte superiore e una più piccola in legno che dava protezione ai posti autorità dotata di seggiolini in plastica scoloriti e vetusti che fornivano una non meno orripilante lugubre visione scenografica rispetto gli spalti delle curve e dei distinti costituiti da gradini poco più alti di pochi centimetri dove si assiepavano migliaia di spettatori praticamente ammassati in un caos infernale che rendeva difficoltoso anche recarsi alla toilette.
La visione del campo da gioco era, ovviamente, terribile dovendoci arrabattare per intravedere le azioni tra le teste e le spalle di coloro che erano sistemati nel gradino sottostante.
Non era certamente meglio lo stadio delle Alpi edificato per i mondiali del 1990 su cui è poi sorto lo J-Stadium.
Impianto con la “sempre presente” pista d’atletica, con una pessima visione di gioco e con una serie di difetti e magagne che lo resero già vetusto dopo pochi anni e oggetto di indagini e processi giudiziari per una sequela di tangenti.
La legge della “giustizia riparatrice” ecco cos’è il nuovo stadio della Juventus. Una ricompensa per i decenni di partite disputate in stadi orrendi, il premio per la lungimiranza della società che ha saputo e voluto investire in un impianto di proprietà futuristico.
Noi, invece, abbiamo perduto il primato dell’impianto più confortevole e moderno del Paese , seppur il nostro affetto per San Siro è sempre inalterato e con rammarico e malavoglia lo abbandoneremmo per un altro impianto seppur all’ avanguardia, tanto più se i progetti che vengono partoriti rispecchiano il caos che regna all’interno della società di via Aldo Rossi con voli pindarici che poi portano al pagamento di penali milionarie.
Però la “nemesi calcistica”, che ha punito il nostro orgoglio e il nostro vanto, deve essere un monito per ritornare a primeggiare in campo e “fuori” dal terreno di gioco.
Ridateci un po’ di soddisfazioni, non create false speranze come la gara di ieri incanalata su binari di un misero pareggio, grazie anche , con mia sorpresa attenta prestazione della retroguardia rossenera e  poi sprofondata in una sconfitta bruciante con l’ennesimo errore dei nostri disattenti e svagati difensori milionari. 
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)