Profondi contrasti all’interno della maggioranza di Governo per la riforma della prescrizione del processo.
La formazione di Matteo Renzi, Italia Viva, diserta il consiglio dei ministri; atto politico di spiccata rilevanza che mina la stabilità della compagine esecutiva.
Crisi di Governo ?
No, solo un gioco delle parti per conquistare maggior peso politico nelle nomine degli enti statali e parastatali in scadenza nei prossimi mesi.
Un teatrino che investe un settore, quello della giustizia, di vitale importanza, che dal secondo dopo guerra vive uno stato di crisi, finora, mai superato e risolto.
I tempi dei processi sono biblici.
Secondo il Sole 24 ore, un processo dura in media 1600 giorni (dalle indagini preliminari alla Cassazione), ma in alcuni distretti si arriva anche a 2200 giorni (Roma , Napoli, Reggio Calabria).
Tempi lontanissimi rispetto alla media UE che ammonta a circa 300 giorni.
L’abolizione della prescrizione voluta dall’attuale Guardasigilli, Bonafede, è solo una battaglia ideologica per seguire i dettami del M5S che, della prescrizione, ne ha fatto una battaglia fondante fin dalle sue origini.
Una foglia di fico per coprire la mancata riforma dell’intero settore, sempre promessa, e mai mantenuta.
La storia politica, purtroppo, ci racconta che nel nostro Paese non si è mai riusciti ( e voluto) produrre una serie ed efficace riforma, che dia al cittadino la certezza dei tempi per un giudizio definitivo.
Tempi certi, celeri, sono i prodromi per la tutela dei diritti del cittadino.
Negli ultimi 50 anni della nostra Repubblica i partiti (destra, centro, sinistra) dell’arco costituzionale hanno tentato di modificare il sistema giudiziario senza alcun successo i protagonisti di quella battaglia sono morti politicamente.
Craxi criticò apertamente il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) per la mancanza di indagini accurate, da parte dei magistrati inquirenti, sull’omicidio di W.Tobagi (giornalista del Corsera freddato a maggio del 1980 dalla formazione terroristica di estrema sinistra, Brigata XXVIII Marzo).
Il Presidente della Repubblica F. Cossiga, fu artefice di una epocale scontro contro quello che il “picconatore” definiva lo “strapotere della magistratura militante”.
Ma di diatribe tra politica e magistratura se ne potrebbero raccontare tante.
Si dice che tutto iniziò con “l’affare Lochkeed” (lo scandalo dell’acquisto di alcuni aerei militari usa dietro il pagamento di tangenti,che investi l’ ex presidente del consiglio, Rumor, e il presidente della Repubblica Leone che fu costretto alle dimissioni- riconosciuto pii innocente) con il discorso di A. Moro in Parlamento con cui avvertì i giudici che non ci sarebbe stato un processo di piazza.
In quegli anni ci fu un totale rovesciamento di rapporti di forze.
L’apice fu raggiunto con gli anni di Tangentopoli.
Uno scontro che continua anche oggi e che è la ragione suprema della mancata riforma della Giustizia.
Nessuno ha più il coraggio e la forza di dare una svolta al nostro Paese.
Le modifiche fondamentali sono molte.
Certamente, come richiesto dai magistrati, la necessità di maggiori risorse per l’apparato amministrativo, tramite informatizzazione e digitalizzazione degli atti formali, unitamente ad un maggior numero di addetti.
Ma non solo questo.
Una drastica riduzione dei giorni di sospensiva per le ferie (lo scorso anno le udienze furono sospese da 15 luglio al 7 di settembre) ,sarebbe quanto meno opportuna.
Sarebbe necessaria la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, a garanzia degli imputati e delle stesse vittime.
Una separazione che dovrebbe portare alla elezione diretta dei Procuratori da parte dei cittadini.
Tutto deve essere indirizzato ad avere una organizzazione dei tribunali snella, efficiente, produttiva.
Una organizzazione degli uffici in stile “Tarfusser”, il procuratore capo di Bolzano tra il 2001 e il 2009, che fu presa come esempio per efficienza, taglio dei costi e velocità dei processi.
Un procuratore “fuori dal coro”, lo si definì, anche per la sua mancanza di appartenenza ad alcuna corrente della magistratura, che, si vociferò, gli impedì la nomina a membro del CSM. 
Un’ organizzazione, che a detta dell’ ex procuratore, è stata smontata negli anni successivi.
la Giustizia italiana versa in condizioni pietose.
Una situazione che produce gravi conseguenze sull’economia nazionale.
Una Giustizia concreta, efficiente, funzionate, darebbe slancio all’economia e riconsegnerebbe il titolo di Patria del diritto al nostro Paese, erede legittimo del supremo “ius” della civiltà latina.
La realtà, invece, ci racconta che quella volontà di cambiamento, di riorganizzazione non esiste.
Troppa è la paura di fomentare l’ennesimo scontro tra politica e magistratura.
Ancora una volta ci si nasconde dietro una foglia di fico che nasconde lo status quo che nessuno vuole eliminare.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)