Ripartenza, parola d’ordine di queste ultime due settimane post lockdown.
DL ripartenza; ripartenza fase 2, fase 3; ripartenza degli spostamenti tra regioni, e tra nazioni dell’area Schenghen.

Ripartenza, soprattutto, della fase economica martoriata dalla pandemia e dalla serrata di tutte le attività produttive non considerate di vitale importanza (alimentari, logistica, sanitaria).
Misure di sostegno all’economia, annunciate e promesse dalla Istituzioni italiane ed Europee.
Miliardi di euro pronti per essere elargiti seppur non a breve scadenza.
Esulando dal contesto economico/finanziario e dalle tempistiche delle iniezioni di liquidità, rimane nell’ambito dell’incertezza quali siano i progetti a breve e lungo termine da realizzare per ottenere una vera, reale, concreta, sicura “ripartenza” del nostro Paese in un mutato contesto Europeo e mondiale.
Sembra che la devastante pandemia che ha così duramente colpito l’Italia e la sua zona più produttiva (Nord), non abbia sortito l’effetto di far comprendere quali fossero i difetti e le lacune che da anni impedivano uno sviluppo sufficiente e necessario per uscire dalla stagnazione generata dalla crisi del 2008.
Burocrazia, investimenti minimi, “ordinaria” amministrazione”, inesistente consapevolezza di quali fossero i settori economici strategici su cui fondare le basi di un nuovo rilancio del Paese Italia.
Ricordando una famosa frase dello statista democristiano, padre della Repubblica, Alcide De Gasperi, “i politici pensano alle prossime elezioni, gli statisti alle prossime generazioni”, è assolutamente necessario che gli atti e le azioni delle Istituzioni seguano quelle parole.
Quel monito, quel modus operandi deve riguardare tutti i cittadini, non solo i suoi rappresentanti delle Istituzioni nazionali e locali.
Una scuola di pensiero considerata inevitabilmente politicamente scorretta, se si pone l’attenzione al ristretto ambito dell’immediato, del contingente, di tutto ciò che va più a soddisfare i desideri effimeri e fuggevoli, rispetto alle necessità durature atte a costruire le colonne portanti del sistema Italia.
Le strade fin qui percorse non ci hanno fatto emergere dalle acque paludose di un’ infinita crisi.
Il pericolo fallimento è sempre rimasto imminente, vicino, mai del tutto scongiurato.
Con viva preoccupazione, quei percorsi non impervi, così piacevolmente apprezzati perchè ammantati da false apparenze che ci promettono l’approdo a lidi sicuri e prosperi, vengono riproposti ancora oggi.
Nonostante la devastazione causata dal Covid 19, i paradigmi dell’azienda Italia vengono ancora considerati come dogmi intoccabili e immutabili sempiterni.
La pandemia ha evidenziato quali fossero gli errori madornali che abbiamo commesso negli ultimi due decenni.
Nel solco della globalizzazione selvaggia, il nostro Paese (ma anche molte altre nazione occidentali) ha delocalizzato e, talvolta, svenduto, intere catene produttive, know-how, di beni e servizi essenziali.
L’esempio più eclatante ha riguardato i prodotti medicali, farmaci, dispositivi sanitari, reperibili solo dal mercato dell’est asiatico.
Si pensi che l’ 80% dei principi attivi dei farmaci vengono prodotti in India e Cina.
La salute pubblica è stata messa a dura prova e solo il sacrificio del personale sanitario ha evitato una catastrofe sanitaria.
Quel “avvertimento” avrebbe dovuto sortire una radicale inversione di rotta e indurre a riportare all’interno dei confini italici molte produzioni di beni e servizi non più presenti da anni.
Il “Warning” lanciato dal Covid 19 dovrebbe far riconsiderare all’Esecutivo, ai rappresentati politici e a noi cittadini quali siano i settori economici essenziali per il nostro Paese, per un Paese che vuole perseguire uno sviluppo economico e sociale ormai da troppo tempo in declino.
Manifattura, tessile, chimica, farmaceutica, siderurgia, informatica, specializzazioni tecnologiche, ecco i settori da implementare, sviluppare, reintrodurre e su cui investire le risorse economiche e intellettive.
Quello che, invece, si scorge ancora in questi giorni, è il solito ” canto cicalesco” della ripartenza del settore turistico.
Turismo, moda e settore enogastronomico sono i settori che richiamano la maggiore attenzione dello Stato e dei mass-media.
Da anni l’Italia, grazie ai tesori naturali e artistici è stato trasformato in una sorta di “luna-park” da cui attingere le risorse di sostentamento delle casse dello Stato.
Un errore marchiano anche in questa fase post acme epidemica.
L’ attenzione è incentrata su come riaccendere la macchina turistica, su come garantire le vacanze dei nostri connazionali e dei vacanzieri esteri per i prossimi tre mesi.
Quello che accadrà a settembre con o senza seconda ondata epidemica, non rientra sotto i riflettori dell’ interesse mediatico e politico.
Il turismo deve essere un plus per la nostra economia, non il core business.
E’ acclarato che una nazione che vuole considerarsi tra le prime al mondo non deve essere solamente considerata il “villaggio turistico” del Pianeta.
Troppe variabili rendono incerto e labile quel settore economico.
Con la globalizzazione lo sono ancor di più.
Ragioni sanitarie (la pandemia è l’esempio più lampante), conflitti armati, diatribe economiche, eventi atmosferici e climatici avversi, possono decimare l’introito annuale o pluriennale facendo crollare il PIL nazionale e consegnarci nelle mani della speculazione finanziaria e dei predatori esteri privati e pubblici che nessun “golden power” potrebbe fermare o arginare.
Ad oggi, ahinoi, si ode solo il canto della cicala, la formica operosa continua a far provviste in territori lontani dallo Stivale.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)