Notizie delle ultime settimane.
Rivolte delle banlieues francesi a seguito dell’uccisione di un diciassettenne francese di origine algerina dovuta ad un colpo di pistola sparato da un poliziotto di un posto di blocco a seguito della sua fuga mentre era alla guida di un’auto senza patente (lo si è scoperto più tardi).

Giovane guidatore , famoso “youtuber” provoca incidente con un’ utilitaria, alla guida di un SUV noleggiato, causando il decesso di un bambino di 5 anni.

Ragazza minorenne uccisa da coetaneo nella periferia di Roma, con il corpo abbandonato in sacco nero depositato in un carrello della spesa davanti ad un  cassonetto dei rifiuti.

Giovane studente accoltella insegnante e minaccia la classe con una pistola giocattolo.

Adolescente di una scuola superiore colpisce alla testa insegnate con una pistola ad aria compressa e pallini di gomma.

Episodi di cronaca totalmente diversi; reati differenti per gravità e modalità; il tutto accaduto in varie Nazioni europee.

Questi accadimenti di cronaca nera così diversi e così tragici hanno in comune un aspetto: la mancanza del rispetto delle “regole”.

Nel film, premio Oscar 2016, di Steven Spielberg, “Il Ponte delle spie”, il protagonista, l’avvocato J.Donovan alias Tom Hanks, allorché un agente della CIA gli chiede di venir meno al suo obbligo del segreto professionale per “ragioni di Stato” risponde indicando che sebbene entrambi avessero origini straniere (l’ avvocato, origini irlandesi, l’agente CIA, tedesche), era accomunati da una “cosa”, una sola “cosa”, il “Manuale delle Regole”, ovvero la Carta Costituzionale che li rendeva entrambi cittadini americani.

Il Manuale delle Regole; la Regola suprema per un qualsiasi Stato democratico e civile, da cui scaturiscono le norme e le leggi.

E’ evidente che le notizie di cronaca di questi anni ci indicano che le regole non sono più rispettate, anzi che le regole sono state immolate sull’altare dell’inalienabile diritto dell’assoluta volontà della libertà di fare ciò che si vuole, del più bieco individualismo, ed egocentrismo.

Il motivo?

Un lassismo generato dall’annichilimento dei valori fondanti le moderne società democratiche costruite nel secondo dopoguerra.

Democrazia e libertà legate a doppio filo dal rispetto delle regole (leggi e normative) e delle autorità.

Regole, autorità, sinonimi di autorevolezza, non autoritarismo combattuto e sconfitto con la Seconda Guerra Mondiale.

Ma regole e autorità sono valori ormai rari in ogni settore civile dei nostri Paesi.

Alla fine dello scorso secolo, la globalizzazione economica frammista a quella della vecchia ideologia comunista, dopo la caduta del Muro di Berlino, ha decretato la fine dei confini nazionali, primo passo verso il ridimensionamento dello Stato-Nazione sottoposto a Istituzioni sovranazionali e a interessi economici globali che esulavano dalle regole create e stabilite dai singoli Stati.

Le multinazionali consideravano e considerano gli Stati un ostacolo ai loro iperbolici guadagni e alla loro espansione merceologica, ricercando i Paesi con la fiscalità più favorevole dove stabilire le loro sedi legali e amministrative.

I vetero/post comunisti “vedovi” per la morte dell’URSS, hanno trovato nella globalizzazione quel substrato basilare per l’unione di tutti i proletari del globo e aspirare alla “potere del proletariato”. Un’ideologia ormai secolare di “nobili” valori che si è sempre scontrata e sempre si scontrerà con la realtà della classe dirigente e dirigista della vecchia nomenklatura e della nuova nomenklatura abbigliata da armocromisti e intrisa di estremismo ecologico (ecologia è un valore imprescindibile per il genere umano e le future generazioni, l’estremismo ecologista è un danno pericoloso per lo stesso genere umano).

I confini, le frontiere, una “normale” regola della storia dell’uomo. Sempre meno confini, sempre meno Regole.

E’ conseguenziale che la quasi totale eliminazione di questa basilare regola, a cascata gli altri principi vengano disattesi se non abiurati.

Le autorità che sono l’espressione delle regole non sono più rispettate. In ogni campo.

In ambito famigliare vi sono numerose situazioni in cui i genitori svolgono il loro ruolo in maniera amichevole. I figli e le figlie i padri e le madri sono “Paolo, Anna, Andrea, Luca, Sofia, e ogni altro nome di battesimo, non “papà e mamma”. Amici da cui si può ottenere ogni cosa, soddisfare ogni desiderio, e la totale libertà di “movimento”, di comportamento, ergo, l’assenza di regole certe e imprescindibili.

Falso buonismo, ipocrita generosità, mancanza di responsabilità, certo, ma anche una vita, quella di non pochi genitori, incentrata e basata nel mondo virtuale dei social-networks, dove ciò che “conta” è l’immagine , l’apparenza effimera, i “like” e il numero dei followers.

L’anormalità e la pericolosità di certi comportamenti adolescenziali, pur se conosciuti, gli stessi genitori li considerano “normali” in questa società virtual-mediatica, dove non esiste più lo sguardo razionale, responsabile, con la giusta “distanza” e, talvolta, severo dell’adulto che percepisce l’errore, l’estremismo, la condotta fuori dalle regole.

Così, effettuare gare automobilistiche in centri cittadini con bolidi noleggiati atti allo scopo, con migliaia di visualizzazioni, sono un vanto per gli autori e magari anche per i genitori.

Ovviamente, non tutti i genitori non si identificano nelle “regole” della civile convivenza, altrimenti sussisterebbe l’anarchia, tuttavia una quota parte ha difficoltà ad accettare i principi fondanti della società. Li considerano un ostacolo da eliminare al loro successo esistenziale, alla loro libertà senza limiti.

Nel secolo scorso le regole famigliari erano le “Regole”.

Principi etici e “regolamenti” di condotta.

I principi vertevano su valori quali, il rispetto delle leggi e delle persone, oltre che di sé stessi.

Rispetta gli altri e te stesso, si era soliti sentirsi dire.

Gli altri, ovvero i tuoi coetanei, ma soprattutto le autorità che non erano solo le figure istituzionali, ma anche le persone maggiori di età. Considerate autorevoli, portatori di valori, esperienze, e capacità. Era conseguenziale il rispetto di una regola non scritta che impediva di utilizzare il pronome “tu”.

E tale rispetto era anche per sé stessi. L’utilizzo di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcool era una totale mancanza di riguardo per la propria persona e la propria salute  Certi comportamenti smodati erano consoni dei “disadattati” sociali guardati con pietà e compatimento, con la speranza di un loro ravvedimento e soccorso per ritornare nei canoni di una vita dignitosa.

Oggi chi abusa in alcool e stupefacenti e rimirato come un esempio di autorevolezza, straordinarietà, meritevole di approvazione e complimenti.

Le regole di comportamento riguardavano anche il rientro serale per i non maggiorenni, che non poteva avvenire dopo la mezzanotte; in caso di violazione, la libertà di uscita serale era vietata per settimane.

La famiglia basata sulle regole, senza eccezioni, senza lassismo, senza falso buonismo generato dalla mancato senso di responsabilità genitoriale.

Anni fa fu stabilito l’innalzamento dell’obbligo di scolastico per, così si sostenne, dare una migliore educazione ai futuri cittadini. La realtà è ben diversa e sconcertante.

Gli insegnati non sono più considerati autorità. Gli studenti si rivolgono ai loro docenti in maniera colloquiale, con il diminutivo dell’appellativo qualificativo, o addirittura utilizzando il secondo pronome personale come fossero coetanei con cui si trascorre il tempo libero. E’ evidente e conseguenziale che la figura del docente non possiede più l’autorevolezza che il ruolo assegna. E se un insegnante esprime tale ruolo in maniera “tradizionale” ecco che bocciature, note di richiamo, vengono sottoposte al giudizio del TAR a cui si appellano i genitori degli alunni.

Mancanza di regole anche in ambito sociale.

Le rivolte delle banlieues francesi o le scorribande delle baby-gang italiane, ma non solo perchè ogni nazione europea è pervasa dal fenomeno, non posseggono nessun elemento comune con le rivolte studentesche del ’68 o dei movimenti politici del novecento.

Nessuna ideologia, tanto meno nessun ideale è presente in queste rivolte o negli atti criminali di questi giovani stranieri o europei di seconda e terza generazione.

Se nelle rivolte del XX secolo la dominate propulsiva era l’ideologia politica con scontri durissimi contro la fazione avversa. Scontri anche con le forze dell’ordine, ma in un contesto in cui gli estremismi antidemocratici e sovvertitori dell’ordine democratico, venivano esautorati e combattuti dalle stesse parti politiche quando quegli estremismi violenti assumevano connotati terroristici.

In Francia, ma anche in Belgio e in tutti i quartieri con predominanza straniera di origine mussulmana, l’integrazione non è mai stato voluta e cercata. Si pensi alla condizione femminile in quelle zone delle città europee dove le regole democratiche dei Paesi ospitanti sono sostituite da quelle dei Paesi di origine (a Bruxelles nel quartiere arabo di Molenbeek vige la legge islamica della Sharia).

Le rivolte di questi giorni, non nuove visto quanto accaduto anche nel 2005, sono ribellioni contro i valori gli Stati ospitanti, la difesa delle attività illecite come lo spaccio di sostanze stupefacenti, i racket, il traffico d’ armi, le rapine, il controllo del territorio di residenza.

La risposta più bella, l’appello più accorato sono stati pronunciati dalla nonna del diciassettenne ucciso che ha chiesto ai rivoltosi di fermarsi perchè la distruzione della “cosa pubblica” produce danni alle persone più deboli, più povere, gli stessi famigliari del ragazzo morto.

Avversione antica per il colonialismo o più semplicemente avversione per tutto il mondo occidentale considerato nemico, considerato il responsabile della povertà delle loro origini, dei loro Paesi. Verità storiche, ma parziali, se si pensa cosa ci racconta la storia riguardo le dominazioni arabe giunte fin nel cuore dell’Europa.

Del resto, anche il diritto internazionale a livello di Unione Europea e gli accordi tra i vari Stati sono cambiati da 20 anni.

Nel secolo scorso, se un cittadino immigrato in un Paese straniero era privo di documenti di riconoscimento e non aveva diritto di asilo o teneva comportamenti in violazioni delle leggi vigenti, veniva estradato nel suo Paese d’origine con l’addebito delle spese di viaggio.

La filmografia del cinema italiano dello scorso secolo ha raccontato alcune di queste vicende.

Il film del 1957 , “Il conte Max” , il protagonista Alberto Boccetti, alias il mito Alberto Sordi, assumendo la falsa identità del nobile decaduto conte Max Orsini Varaldo, Vittorio De Sica, invaghito della nobildonna Elena la segue fino in Spagna da dove viene “rispedito” in Italia, per non essere stato in grado di pagare il sontuoso, esotico omaggio floreale e per aver dichiarato false generalità.

Una sorte simile, seppur in un contesto più triste, lo subì il cameriere Giovanni Garofoli, alias il gradissimo Nino Manfredi, nel film del 1973 “Pane e cioccolata”. Per un reato di minima entità (scoperto ad orinare davanti un muretto), gli viene revocato il permesso di soggiorno e dopo mille peripezie vivendo come clandestino fingendosi un cittadino svizzero, tradito dal suo tifo per la nazionale di calcio viene accompagnato sul treno che lo riporta in Italia.

Oggi, invece, per rimpatriare le persone che non hanno diritto a soggiornare nei vari Paesi la procedura è lunga, difficile, costosa.

Si sente affermare da più parti che l’accoglienza è doverosa e giusta. Nessuno , tuttavia, afferma che il principio principale è il rispetto delle regole, disattese in larga misura vige l’anarchia, l’insicurezza, soprattutto per i più poveri, i più deboli.

Deboli e poveri di ogni origine e nazionalità.

Le regole, dettami di civiltà, molto spesso sconosciute, disattese, purtroppo.

Le conseguenze di questo lassismo le racconta la cronaca quotidiana che fotografa la società contemporanea.

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Massimo Puricelli
Castellanza (VA)