Borsalino festeggia i 166 anni con un museo e un nuovo direttore creativo

La storica azienda di cappelli rilancia puntando sui classici Fedora e su materiali e colori nuovi

I suoi leggendari cappelli sono storia d’Italia. Nato ad Alessandria agli albori del Risorgimento italiano come laboratorio artigianale, Borsalino festeggia 166 anni. Dal cinema, con cui il legame è stato profondo, al design e alla moda, il brand dell’elegante Fedora ha influenzato lo stile di intere generazioni, contribuendo ad impreziosire l’offerta del Made in Italy in tutto il mondo.

Oggi, passata la burrasca del dissesto del 2017 e con la nascita della nuova società l’anno successivo, acquisita dal fondo Haeres Equita dell’imprenditore svizzero Philippe Camperio, Borsalino si presenta indiscutibilmente giovane e vibrante. Merito anche del nuovo direttore creativo da poco al timone, il milanese Jacopo Politi.

Arrivato da Borsalino nell’aprile del 2022, ha ufficializzato la sua posizione lo scorso novembre. A fine gennaio, il debutto al Pitti Uomo di Firenze con la collezione autunno/inverno 2023, “A Journey to Space”.

Classe 1978, stilista di cappelli da vent’anni, Jacopo si è formato alla scuola di moda del capoluogo lombardo, l’Istituto Marangoni. È un veterano del mondo della cappelleria e vanta una lunga esperienza come direttore dell’ufficio stile di Maison Michel, di proprietà Chanel, nonché anni di collaborazioni con un folto gruppo di direttori artistici di case come Fendi e Louis Vuitton.

Con tremilacinquecento pezzi di proprietà, Politi è forse il maggiore collezionista di cappelli in Europa. Cresciuto con il modello di berretto morbido, più classico, oggi ama il cappello Brooklyn a tesa larga e leggermente all’insù sui lati.

Lo abbiamo raggiunto via Zoom in occasione dell’inaugurazione del nuovo museo dedicato al brand – voluto dalla città di Alessandria insieme alla Fondazione Borsalino – per farci raccontare il suo lavoro e il futuro del marchio che rappresenta.

Il cappello è un vecchio amore?

Direi che il cappello mi è caduto sulla testa, per caso. Il mio desiderio era lavorare nel pret-a-porter maschile, con un’idea chiara: sviluppare linee tutte mie, evitando i grandi marchi.

Una virata di 360 gradi.

Grazie al premio International Lab Mittlemoda – premio per i designer in erba – ricevetti una discreta quantità di offerte di lavoro. Una buona occasione per muovere i primi passi. Erano gli anni Duemila, il cappello faceva nuovamente capolino dall’armadio, dove era finito dopo il ’68, per cui all’occorrenza mi rivolgevo ad un piccolo cappellificio fuori Milano. Un paio di anni dopo lo stesso laboratorio mi chiese aiuto per dei prototipi commissionatigli da Chanel. Accettai per fare un favore ai due proprietari, miei coetanei, invece venne fuori “Le ballet russe”, la mia prima collezione di cappelli.

Come andò?

Finii a Parigi. Presentai io stesso i disegni, furono un successo. Tra me e Virginie Viard – oggi artistic director di Chanel – fu amore a prima vista. L’anno dopo ricevetti richieste di collaborazioni dai big a destra e a manca.

Ha subito il fascino del cappello, dunque.

Ciò che trovo irresistibile è il suo elemento giocoso. Ammetto anche che mi somiglia molto. Io indosso raramente i colori scuri perché amo i colori vitaminici e il cappello può vestire tonalità illimitate. Poi, la molteplicità delle forme, l’adattabilità lo rendono infinitamente trasformabile. Come può non essere stimolante?

Lei è un intenditore di moda, uno che a suo dire studia molto, ma anche un pragmatico che sceglie volutamente di farsi ispirare dalla strada.

Può sembrare un concetto ridondante, usurato, ma tutto quello che incontro può essere un suggerimento, un’idea. Ho la capacità di soffermarmi su dettagli che alla maggior parte delle persone sfuggono, dunque approfittare di una miniera senza fine come la strada è una grande fortuna.

Che futuro prevede per Borsalino?

Non farò nessuna rivoluzione. Borsalino continuerà a commercializzare cappelli classici, che costituiscono il 40% della collezione, il mio estro farà il resto.

Prima di arrivare a Pitti Uomo e prima ancora dell’ufficializzazione del ruolo, ha trascorso un anno chiuso nell’archivio del brand.

Ho studiato partendo da questo: cosa manca a Borsalino? Come dovrà rispondere alle richieste della moda? Dunque il futuro è iniziato con due proposte: il modello bucket – Noa – nella versione in feltro, il materiale principe della maison Borsalino e il cappellino da baseball proposto in cachemire smacchinato, plasmato interamente a mano. Nei toni arancio zucca, verde smeraldo sarà oggetto cult.

Quali sono le sfide per il futuro?

La questione ambientale, risposte etiche, le collezioni donna. Il feltro, che sappiamo composto di pelo animale è lavorato con materiale preso dalla cosiddetta filiera, ciò che verrebbe cestinato, dunque possiamo affermare che nessun animale ha subito maltrattamenti. Nel frattempo Borsalino amplierà l’uso del feltro in lana. Le collezioni donna sono state ampliate, da tre modelli a ben diciassette.

Ora ci dica perché bisogna scegliere di indossare un cappello.

È uno statement, una scelta tanto personale da rappresentare il biglietto da visita di chi lo indossa.

Cosa suggerisce ai visitatori del Museo Borsalino?

Di osservare bene l’archivio. È una passeggiata che racchiude la poliedricità del brand. Un itinerario illuminante, che ricostruisce la storia della moda e dello stile attraverso lo sconfinato numero di collaborazioni di Borsalino con i grandi designer – a partire da Gianni Versace e Krizia fino a Joji Yamamoto – ma che parla anche di Papi e di esercito. E poi Fedore prestate ai cult del cinema, da Humphrey Bogart nel film Casablanca a Marcello Mastroianni in 8 ½ di Fellini fino al recente Toni Servillo in La Grande Bellezza.

L’ultima scena del film Casablanca in cui Humphrey Bogart indossa Borsalino è diventata iconica. Chi potrebbe oggi essere equiparato all’affascinante Humphrey Bogart?

L’attore americano Timothée Chalamet, uno che nell’aspetto di Bogart non ha nulla. Ha il dono dell’autenticità, però, una forza concreta che lo riempie di fascino.

A cosa sta lavorando ora?

Alla collezione donna che non vedo l’ora di presentare a fine maggio. Sono partito dal più classico dei materiali, la qualità Panama dell’Ecuador con l’idea della tridimensionalità. Poi falde, frange con il focus sulla rafia e la paglia in fibre vegetali: grano, erba, riso, cellulosa, spago. La lavorazione è fatta di passaggi minuziosi tali da rendere il cappello estremamente leggero. Perché se un cappello per l’estate risulta un peso scomodo da portare, al punto di sentire la necessità di toglierlo allora questo perde la sua funzionalità e non è più prezioso.

Jacopo, lei poggia mai il cappello sul letto?

Me ne guardo bene!

Intervista rilasciata a Filomena Troiano     VNY La Voce di New York

 

Borsalino, la rinascita di un mito

L’iconico brand di cappelli amato dallo star system internazionale alla riconquista di un mercato globale.

Foto di Paolo Gelmi

Paolo Gelmi

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