“Fatti non parole”, così recitava un famoso slogan di una pubblicità di un quarto di secolo fa.
Il nostro disastrato Paese non ha mai seguito questo monito.
Siamo un popolo che, negli ultimi anni, possiede il primato dell’ indignazione per i misfatti che la cronaca quotidiana ci fa conoscere; un’ indignazione, però, solamente verbale (molto rara l’indignazione fattiva e concreta).
Piccola stazione ferroviaria del Veneto, un capotreno per avere impedito di salire in vettura un nigeriano privo di regolare biglietto è stato condannato per tentata violenza privata e il giudice ha trasmesso gli atti alla Procura competente (Belluno) per valutare se vi fosse la sussistenza del reato di abuso d’ufficio.
Uno dei tanti episodi che giornalmente si verificano sulle centinaia di tratte ferroviarie disseminate lungo lo Stivale.
Episodi che, purtroppo, talvolta, sfociano in atti criminali con conseguenze fisiche assai gravi.
Basti ricordare quanto successe nel giugno 2015, alla stazione di Villapizzone periferia di Milano, allorché il capotreno Carlo Di Napoli rischiò di perdere un braccio aggredito da tre esponenti della MS 13 banda di latinos con colpi di machete, per aver domandato se fossero provvisti di biglietto (una domanda retorica, ahinoi).
Condannati gli autori in primo grado per tentato omicidio a 14, 16, 11 anni di reclusione, in appello le pene sono state ridotte perchè non è stata ritenuta valida l’aggravante dei futili motivi.
Vicenda che suscitò scalpore e indignazione, prese di posizione delle istituzioni, promesse di maggior rigore e di maggior controllo, poi, come cantava Domenico Modugno, “la lontananza sai, è come il vento”, passato un po’ di tempo, ecco che tutto svanisce come un colpo di vento; e così, come era lecito aspettarsi, altri controllori vengono ancora aggrediti, picchiati, insultati (ultimo episodio della serie, capotreno preso ad ombrellate sulla linea Milano Piacenza qualche giorno fa).
Indignazione per i raid delle cosiddette baby gang composte da minorenni che aggrediscono loro coetanei per derubarli di pochi soldi e dello smartphone.
Casi eclatanti come il giovane liceale napoletano a cui alcuni giovanissimi criminali (non si può usare altro appellativo) hanno inferto 12 coltellate recidendogli parzialmente una corda vocale oltre a provocargli danni ai polmoni.
Due minorenni bruciano vivo un clochard in provincia di Verona “per divertimento” (!!!).
Sgomento, rabbia, risentimento, deplorazione per qualche giorno, poi silenzio.
E il silenzio che cala sopra questi avvenimenti è assordante anche quando si odono parole di comprensione per le riduzioni di pena, le semi libertà concesse, il disagio esistenziale per il presunto clandestino che non paga il biglietto del treno e che aggredisce il capotreno che esercita il suo “dovere”, ma che avrebbe dovuto comprendere la “vita tribolata di quel povero migrante”; non manca mai, ovviamente, l’attribuzione di colpa alla crudele società per le “intemperanze” delle baby gang che vivono in un ambiente degradato e chissenefrega se sono figli di boss malavitosi che comandano intere regioni fatturando miliardi di euro con le più disparate attività criminose costringendo da decenni lo Stato ad una guerra costosa in termini di vite e di denaro.
Ma non solo.
Il silenzio post-indignazione riguarda anche altre faccende meno esecrabili, ma eticamente ripugnanti che denotano quale sia il livello della nostra attuale società.
Manager “tagliatori di teste” senza alcun scrupolo, portano alla chiusura decine di aziende mettendo sul lastrico centinaia di lavoratori che magari non percepiscono lo stipendio da mesi, che postano sui vari social-networks il suv da centinaia di migliaia di euro appena acquistato, facendo sfoggio del loro status symbol.
Seguirà il solito assordante silenzio dei cittadini consumatori che in questo, come in altri migliaia di casi non utilizzeranno l’arma letale del boicottaggio nei confronti dei prodotti di quelle aziende che impiegano questo genere di collaboratori privi di un minimo di “creanza” e rispetto per la dignità altrui.
E allora non si può fare altro che parafrasare la famosa frase di J.F.Kennedy “non chiederti cosa fa lo Stato per te, ma cosa fai tu per lo Stato”, e obbligatoriamente chiederci cosa compiamo noi cittadini per andare oltre lo sdegno e l’indignazione che spessissimo manifestiamo.
Atti concreti che ci consentono e ci forniscono la Costituzione, le leggi vigenti, l’etica civile, che deve guidare ogni nostra azione proveniente dalla sovranità popolare.
In primis, quelle azione concreta che si manifesta con il voto alle elezioni, come indirizzo e monito per coloro che siederanno sugli scranni del Parlamento e che debbono porre in essere provvedimenti che prevengano gli atti che attentano alle leggi, alla libertà e alla sicurezza dei cittadini.
Ma non solo.
Trasformare l’indignazione “astratta” in una richiesta reale, continua nei confronti degli organi giudiziari che “amministrano la Giustizia in nome del popolo italiano” (art.102 della Costituzione”) per una minore interpretazione della legge.  
No, nulla di eversivo, nulla a che vedere con aspetti dittatoriali popolari in stile regime dei soviet, ma una legittima invocazione per la tutela dei diritti delle vittime e del senso di insicurezza della cittadinanza in balia dei soprusi e delle violenze di bande di criminali autoctoni e stranieri.
Un’ indignazione concreta da porre in essere nelle scelte quotidiane per riappropriarci dei nostri diritti, delle nostre dignità, del nostro futuro.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)