“Negli ultimi tempi il Ministero dell’Interno era stato trasformato in Ministero dell’Immigrazione”. Così Vito Crimi, vice ministro dell’Interno nel Governo Conte bis, a Radio 24, una trasmissione radiofonica di ieri, giovedì 19 settembre.

Con tutti i problemi, quelli veri, che ha l’Italia, il ministro del tempo (giugno 2018 – agosto 2019) non aveva altri impegni che quello di andare a caccia di aspiranti immigrati, ma esclusivamente se di colore e su barconi in fase di affondamento. Dei bianchi che arrivano tranquillamente in treno, in traghetto o in aereo, manco po c….o (non so se la grafia sia corretta, ma credo che renda bene l’idea). 

Certo che la caccia doveva tenerlo molto impegnato, visto che, secondo quanto pubblicato su qualche quotidiano, nei primi sei mesi dell’anno è stato al ministero la bellezza di 17 giorni, più altri cinque in cui la sua presenza non è segnalata da nessuna parte, in Italia o all’estero, e neanche al Papeete, per cui si presume che potrebbe essere stato all’interno del Ministero dell’Interno. Un qualsiasi impiegato normale, con questo trend sarebbe stato cacciato dal lavoro, ma lui prima siè autogiustificato, poi si è autolicenziato, altrimenti sarebbe ancora lì.

Ascoltando però le parole di Crimi mi è venuto in mente uno dei temi pubblicati a suo tempo da Marcello D’Orta nel libro “Io speriamo che me la cavo”, dove un bambino mette a confronto una località del nord, con i suoi problemi quali la nebbia e il castello, con quella dove lui abita, con delinquenza, droga, scuole fatiscenti, strade rotte, miseria e così via.

Questo è stato il quadro in cui ci si è mossi nel periodo indicato da Crimi: un piccolo problema, importantissimo sul piano elettoralistico, è diventato Il problema, quello che ha catturato l’attenzione degli elettori fino a portare il portabandiera a livelli elevatissimi nei sondaggi. Che fossero solo proclami e niente fatti, poco importava. L’importante era il “dalli allo straniero di colore”. Come pure poco importava della criminalità di matrice italiana, dell’evasione fiscale, della crisi economica e di tutti gli altri problemi che quotidianamente viviamo, ma che non portano voti. 

Con queste premesse, lo vogliamo davvero premier? 

Girolamo