Il battage mediatico-pubblicitario natalizio ci bombarda da oltre un mese, come da consuetudine.
Ecco penserete, il solito moralista che ci confeziona il solito panegirico contro l’edonismo sfrenato nella corsa al regalo.
E, invece no.
La mia è una riflessione su come potrebbe e dovrebbe essere la nostra società ogni giorno.
E sì, perchè in questo periodo in cui si “intenerisce il cuore”, e la melassa ridondante dei “buoni sentimenti solo apparenti sono sbandierati in ogni dove, si accende l’annosa diatriba tra l’edonismo e il vero significato del Natale.
Ecco sorgere i “pistolotti” inerenti allo stravolgimento del simbolo della Natività, non solo religioso, ma anche filosofico, che inevitabilmente viene soverchiato dalla più semplice omologazione di manifestazione generosa, con elargizione di regali e esprimendo le solite formule augurali.
Tutti gesti e consuetudini riconducibili alla solidarietà.
Solidarietà, insieme dei legami affettivi e morali che uniscono l’uomo con la società, così è definita dai maggiori vocabolari della lingua italiana.
Insomma, essere solidali è concordare con idee, aspirazioni, e atti altrui, sostenendoli concretamente.
Concretamente e sostegno.
Niente di più utopico e di più remoto osservando e ascoltando quanto esprime la società odierna.
Una rarità, una pregiato monile, sostituito da contraffazioni spacciate per autentiche.
Parafrasando una famosa frase del film di Carlo Verdone, “Troppo forte” del 1986, in cui l’attore e regista romano interpreta il coatto Oscar Pettinari, allorchè ad un suo rimbrotto nei confronti di un sodale reo di non aver rispettato il patto di reciproco aiuto in ambito lavorativo, ottiene la risposta “tranchant”: “la solidarietà sgonfia le palle” !
Non può esserci una frase più emblematica di quale sia la reale applicazione del concetto di solidarietà nel vivere quotidiano.
A parole, tutti solidali, ma nei fatti, la solidarietà sgonfiando gli “attributi”, è di difficile attuazione.
Beh, allora mi viene d’obbligo fare alcuni esempi di vera solidarietà (concreta), di istruzioni per l’uso.
Eliminando le formule preconfezionate del periodo natalizio di auguri, affetti, benevolenze elargiti a iosa in stile spamming, e le solite tiritere che si odono anche durante tutto il corso dell’anno che lavano le briciole della coscienza, si passi dalle parole (vuote) ai fatti (“Fatti non parole”, come lo slogan di una vecchia reclame).
Iniziamo con coloro che nella vita sono stati abili e fortunati a svolgere una professione che gli permette di avere un reddito elevato.
Numerosi, molti più di quanto si pensi, visto i dati forniti dalle statistiche (oltre 200 mila nel 2015 in crescita del 16% rispetto il 2012). Una cifra da considerare sottostimata visto che non comprende coloro che evadono o eludono il fisco (le cifre sono maggiori veduta l’ evasione fiscale nel nostro Paese che ammonta a circa 270 miliardi).
Chi possiamo considerare con un reddito cospicuo ?
Direi che nulla quaestio se si indica un guadagno mensile sopra i 4000 mila euro.
A codesti benestanti e agiati cittadini/lavoratori, consiglierei di esprimere concretamente il loro spirito solidaristico sostituendo i lussuosi doni e strenne natalizie elargiti in ragione delle “insostituibili e vitali” pubbliche relazioni, con una piccola decurtazione mensile del loro congruo stipendio, che so un 7/8 %, che vada a costituire un fondo “solidaristico” con cui poter assumere un disoccupato (anche part-time) per almeno 12 mesi presso l’azienda o l’ufficio dove svolge la sua redditizia attività; donerebbero a molti disoccupati la possibilità di potersi riappropriare della loro dignità, ormai svilita, e di poter sperare in futuro migliore.
Un atto solidaristico, a mio modo di vedere, che andrà a giovamento anche di coloro che lo compiono, non solo a livello morale (tacitando i bisbigli della loro coscienza), ma anche economico perchè con un maggior numero di persone occupate l’economia avrebbe un ripresa sostanziale che gioverebbe anche ai redditi più alti.
Ecco, una solidarietà concreta, semplice, in antitesi con i fiumi di parole che si odono spesso, ma che sono effimeri come bolle di sapone.
Discorsi e panegirici emanati urbi et orbi sui vari mezzi di comunicazione intrisi di buoni propositi, magari a favore dei sedicenti profughi a cui “deve” essere applicata la solidarietà sempre e comunque con i soldi dello Stato, ma mai nessuna concreta, minima rinuncia a pochi “spiccioli” per “creare” un posto di lavoro per un disoccupato italiano.
Usciamo subito dall’equivoco di teorie post-comuniste o pauperistiche.
Deve essere chiaro che la ricchezza non è il demonio da sconfiggere e che se ottenuta lecitamente è un elemento meritorio e un beneficio per la collettività (basti pensare alle aliquote fiscali previste per i redditi alti), tuttavia si applichino le teorie Keinesiane in questo periodo di crisi nera.
Aggiungo, poi, che la solidarietà tangibile riguarda anche tutti coloro (la maggioranza) che sbarca il lunario più o meno faticosamente e che non può certo definirsi una persona ricca o benestante.
No, nessun taglio dello stipendio, appena appena decente.
No, ma la solidarietà è anche e soprattutto un comportamento, una condotta generosa che non si deve quantificare economicamente, ma a livello morale e spesso psicologico.
La condivisione dei problemi di una persona amica, preziosi consigli, conforto nei momenti bui dell’esistenza, questi e altri contegni, sono i segni più lampanti di vera solidarietà.
E, invece, il conoscente bisognoso, depresso, malinconico è spesso considerato un peso, un ostacolo, un “untore” da evitare, da scansare nel più breve lasso di tempo, per non rischiare di essere contagiati da una malattia temuta come la depressione.  
In altre parole, siamo tutti , chi più chi meno, seguaci del motto “ognuno per sè, e Dio per tutti”.
E allora, metaforicamente parlando, ritengo paragonabile la società ad una squadra sportiva, in special modo, ad un team ciclistico.
Se il gruppo è unito e si aiuta il compagno in difficoltà a rientrare nei ranghi è più facile raggiungere la meta, il traguardo, la vittoria perchè la fatica e il lavoro viene condiviso; se l’ andatura in testa al gruppo viene effettuata da tutti, si risparmiano preziosi watt da utilizzare in salita, allo sprint finale e poter conquistare l’ambita maglia rosa o gialla.
Ho il dubbio che la nostra odierna società, invece, sia un team in cui regnano invidie, gelosie, “guerre intestine”, interessi egoistici che inevitabilmente condurranno ad una certa retrocessione o a non fregiarsi dei simboli di vittoria.
 
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)