Periodo burrascoso in casa Milan.
Dopo 6 partite di campionato, due sconfitte, l’ultima delle quali domenica scorsa contro La Sampdoria a Genova.
Un bilancio non drammatico, ma che genera preoccupazioni facendo suonare un campanello d’allarme per la squadra di mister Montella, incapace di esprimere un gioco convincente e con una fase difensiva a dir poco imbarazzante.
Certo, i rossoneri sono una squadra completamente rivoluzionata dal recente mercato estivo, con una nuova classe dirigente e con i nuovi proprietari provenienti dall’estremo oriente.
Una rivoluzione che comporta, necessariamente, un più o meno lungo periodo di “assestamento” (definiamolo così).
Sono perdonali, ovviamente, gli errori che vengono commessi se non sono generati dalla presunzione e dalla superbia.
A tutto l’ambiente consiglio un ripasso storico, visto che questa situazione è assai simile a quanto accadde al sodalizio milanista nella lontana stagione 1984/85.
Trentatre anni fa, il Milan fece una campagna acquisti brillante, facendo arrivare a Milanello nuovi giocatori per ambire ad un posto nelle coppe europee, dopo due anni di cadetteria e un campionato “angosciante” successivo al ritorno nella massima serie, che vide la conquista della salvezza alle ultime giornate (ricordo le vittorie decisive in trasferta contro Torino e Udinese), dopo l’esonero dell’allenatore Castagner (reo di aver firmato un pre-accordo con i cugini nerazzurri) a cui subentrò Galbiati.
Con il ritorno in panchina del “barone” Liedholm (vincitore dell’ ultimo scudetto, quello leggendario della stella), giunsero Virdis, gli inglesi Hateley e Wilkins, il portiere Terraneo e l’ex capitano giallorosso A.Di Bartolomei, che lasciò la “sua Roma” a seguito di una serie di diatribe interne.
Una squadra che partì bene, inanellando una serie di vittorie (leggendarie quelle contro la Roma e il Derby del colpo di testa vincente di Hateley subissando l’infame Collovati).
In quella rosa, ricca anche di giovani campioni che contribuiranno, anni dopo, a portare il Milan in cima al mondo (su tutti il Capitano Baresi e il fido Tassotti), vi fu l’apporto essenziale dell’ esperto e carismatico Agostino Di Bartolomei, “romano de Roma “, per  diversi anni capitano della compagine giallorossa e vincitore di uno storico scudetto due anni prima con la squadra capitolina.
Taciturno, un po’ introverso, con un carattere schivo, forse già tormentato dal “male di vivere” (morì suicida nel 1994 dopo aver smesso di giocare).
Arrivò voglioso di dimostrare ancora il suo valore; in campo era ieratico, di poche parole; poco incline a mostrare le sue emozioni (ricordo l’eccezione a questa sua condotta, allorché segnò un gol contro la sua Roma esternando un’esultanza senza freni) era un punto di riferimento costante anche per il giovane capitano Baresi e i “vecchi” reduci degli anni bui della serie B.
Poche parole, impegno, umiltà (nonostante quanto fece a Roma) e rispettoso delle gerachie.
Ecco credo sia importante che l’attuale dirigenza milanista, il mister Montella e il “nuovo capitano ” Bonucci rileggano quelle pagine di storia e riguardino la figura di Di Bartolomei.
Soprattutto Bonucci dovrebbe ispirarsi ad Agostino.
Ispirarsi e seguire il suo esempio per come arrivò al Milan, le scelte che fece (e che gli permisero di fare l’ allora società), e il suo “stare in campo.
Di Bartolomei non chiese la fascia di capitano; non si auto-nominò condottiero; non percepiva l’ingaggio più alto della rosa; non impose un radicale cambio di gioco a discapito delle caratteristiche dei suoi compagni.
Ci fu un adattamento dello schema di gioco (la famosa “zona”), ma poggiandosi su una base già presente da qualche anno.
Sgombriamo il campo.
Sono trascorsi oltre 30 anni e il mondo è cambiato radicalmente, così come il calcio.
Tuttavia sono sempre validi e utili gli insegnamenti che ci giungono dagli “antichi”.
Così, in ordine sparso e in maniera casuale mi permetto di ricordare al “neo capitano” Bonucci che non occorre commentare ogni prestazione agonistica sui vari social-networks, perchè è più efficace un comportamento che mille parole; che la superbia va a cavallo ma torna sempre a piedi; allorchè si frequenta un nuovo ambiente e un nuovo gruppo i gradi della leadership devono essere conquistati per quanto si farà o non per ciò che si è fatto in altri lidi e in altri “eserciti”.
Dulcis in fundo, consiglio una rilettura della favola “la rana e il bue” dello scrittore latino, Fedro.
Mai cercare di voler assumere le sembianze di chi è totalmente diverso da noi, perchè si rischia di scoppiare.
Meglio un bagno di umiltà; umiltà linfa vitale e forza dei veri condottieri.
 
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)