Negli scorsi giorni abbiamo preso in esame alcuni dei dati che emergono da una ricerca del gruppo socialista al Parlamento Europeo, presentati alla stampa all’inizio di agosto.
Abbiamo visto che nei diversi paesi dell’Unione Europea ci sono dieci diverse aliquote IVA che vanno dal 17% del Lussemburgo al 27% dell’Ungheria, e che c’è una evasione che va da un minimo dello 0,9% da parte dei cittadini del Lussemburgo, ad un massimo del 35,9% dei romeni. In questo gruppo l’Italia (25,9%) è collocata in terza posizione, dietro a Romania e Grecia (29,2%), e davanti a Slovacchia (25,7) e Polonia (20,8).
Oggi prendiamo in esame un’altra serie di dati che emergono dalla ricerca, specificando che è riferita agli anni 2016 e 2017. Si tratta della pressione fiscale che grava sui cittadini dei 28 paesi dell’Unione.
In testa a questa classifica troviamo i danesi, con una pressione fiscale pari al 46,5% delle entrate, esattamente il doppio di quanto avviene per gli irlandesi, il cui fisco li opprime solo per il 23,4%.
Questa è la graduatoria completa:
Danimarca 46,5%
Francia 45,6%
Belgio 45,2%
Finlandia 43,9%
Austria 43,2%
Svezia 43,1%
Italia 43,0%
Ungheria 38,8%
Germania 38,4%
Paesi Bassi 37,4%
Lussemburgo 37,2%
Croazia 37,1%
Grecia 36,6%
Slovenia 36,6%
Portogallo 34,4%
Rep. Ceca 34,0%
Estonia 33,7%
Spagna 33,7%
Cipro 33,2%
Regno Unito 33,1%
Polonia 32,4%
Malta 32,1%
Slovacchia 32,1%
Lettonia 30,1%
Bulgaria 29,1%
Lituania 28,9%
Romania 28,0%
Irlanda 23,4%
Come si vede, dei sei grandi paesi che fanno parte dell’Unione (Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna), solo due (Francia e Italia) fanno parte del primo gruppo, dove la pressione fiscale supera ampiamente il 40%. La Germania vi si avvicina (38,4%), mentre gli altri tre si attestano su di una pressione fiscale che viaggia attorno al 33%.
Proviamo ad immaginare cosa succederebbe se in Italia (ma anche in Francia) la pressione fiscale dovesse scendere di colpo di dieci punti percentuali. Ma questi scenari di fantaeconomia si riscontrano solo nelle promesse elettorali. E quante ne sentiremo nei prossimi mesi, se si andasse veramente alle urne. Salvo poi sentirci dire che tali promesse non possono essere mantenute “per colpa degli altri”.
Ritorna però la domanda che ci siamo fatti con il primo di questi articoli: “Dove è questa Europa?”, pur sapendo che l’Europa non si occupa di politiche fiscali.
Come è possibile che all’interno di questa libera associazione di stati che risponde al nome di Unione Europea ci siano queste enormi disparità di trattamento nei confronti dei cittadini.
Forse questa Europa andrebbe ripensata, senza tacerne i meriti attuali, ma per cercare di trasformarla in una vera Unione, dove accanto ad una politica monetaria comune ci sia anche una politica fiscale comune, una politica estera e una politica migratoria comune. Ma anche questa ho paura che sia fantapolitica e che il primo vero ostacolo insuperabile sia l’egoismo dei singoli stati, quello che Francesco Guicciardini, cinquecento anni fa indicava come “l’utile particulare”.
Alessandro Fabbri