Contrastare efficacemente l’ipercolesterolemia è possibile, non solo con le statine.

Un gruppo di specialisti ha approfondito la validità di un nuovo approccio terapeutico, rivalutando, in un’ottica di prevenzione non solo secondaria ma anche primaria, l’utilizzo di Ezetimibe: un farmaco in commercio da anni, di cui è stata dimostrata l’efficacia, non solo in associazione alle statine ma anche in monoterapia, nel ridurre l’assorbimento a livello intestinale del colesterolo, e di conseguenza ridurre anche i livelli plasmatici del colesterolo ‘cattivo’ (C-LDL), con un buon profilo di tollerabilità. “Abbiamo finalmente delle forti evidenze scientifiche che confermano l’efficacia di farmaci diversi dalle statine nella lotta contro il colesterolo e quindi contro le malattie cardiovascolari. L’Ezetimibe, ad esempio, rappresenta una valida alternativa terapeutica”, afferma Furio Colivicchi, direttore UOC Cardiologia, Ospedale San Filippo Neri di Roma.
Il cosiddetto “colesterolo alto” è oggi una sfida impegnativa per i medici, in particolar modo nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e nei casi in cui il trattamento di prima scelta con le statine non è ben tollerato o non permette di raggiungere i livelli di colesterolo raccomandati dalle linee guida. Un problema significativo considerato che l’ipercolesterolemia è causa diretta dell’insorgenza delle patologie cardiovascolari, solo in Italia responsabili di oltre 200mila morti l’anno, di cui 70mila imputabili alle malattie ischemiche del cuore, tra le quali l’infarto rappresenta la più temibile.

“L’Ezetimibe – continua Colivicchi è un farmaco disponibile da tempo, e si è dimostrato particolarmente efficace nel ridurre i livelli di colesterolo plasmatico e il rischio di eventi cardiovascolari avversi, anche nei pazienti che hanno già avuto una qualche complicanza cardiovascolare. Ezetimibe agisce inibendo l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, quindi con un meccanismo diverso dalle statine, che hanno un’azione diretta sulla produzione del lipide da parte dell’organismo. Con la combinazione di questi due farmaci si realizza il cosiddetto ‘doppio blocco fisiopatologico’ in quanto si va a ridurre sia la produzione sia l’assorbimento del colesterolo LDL. Questo approccio risulta indicato soprattutto in alcune categorie di pazienti, ad esempio i diabetici, in cui l’assorbimento di colesterolo a livello intestinale è particolarmente sviluppato”.

Un elemento critico nella somministrazione della terapia ipolipemizzante è costituito dall’insorgenza di effetti collaterali. Numerosi studi clinici dimostrano, infatti, che fino al 30% dei pazienti avviati alla terapia con le statine può sviluppare significative reazioni avverse come mialgie, miositi, epatopatie e cefalea, che rendono impossibile la prosecuzione della cura.

“Grazie al suo peculiare meccanismo d’azione, Ezetimibe non presenta interazioni significative con altri farmaci ed è estremamente tollerabile sia a livello epatico, sia a livello muscolare. Avendo dimostrato di essere estremamente efficace anche in monoterapia, Ezetimibe rappresenta un’opzione valida per quei pazienti in cui è controindicato l’utilizzo delle statine”, spiega Gian Piero Perna, direttore Dipartimento di Scienze cardiovascolari, Ospedali Riuniti di Ancona. “Il farmaco – prosegue l’esperto – è ben tollerato anche a livello renale ed è l’unico medicinale indicato per il controllo del colesterolo ad aver ottenuto risultati di efficacia significativi nei pazienti con nefropatia, anche avanzata. La sua tollerabilità è stata dimostrata in numerosi studi clinici che hanno riguardato più di 30.000 pazienti”.

Per il suo particolare meccanismo d’azione, Ezetimibe apre dunque prospettive del tutto nuove per il trattamento della dislipidemia, fornendo ai clinici maggiori possibilità di intervento per migliorare la qualità della vita e ridurre la mortalità per patologie associate.

“Contrastare l’ipercolesterolemia significa agire in un’ottica di prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari”, precisa Enzo Manzato, professore di Medicina Interna all’Università di Padova. “L’innalzamento dei livelli di colesterolo LDL – continua Manzato – è direttamente correlato all’aumento della probabilità di avere un infarto. Infatti, quando le LDL non sono più degradabili da parte del recettore, fisiologicamente deputato al loro smaltimento, tendono ad infiltrarsi tra le pareti delle arterie, provocandone ispessimento e indurimento progressivi. Nel tempo questo processo, chiamato aterosclerosi, può portare alla formazione di placche che ostacolano il flusso sanguigno diretto al cuore, provocando eventi cardiovascolari avversi come l’infarto”.