Da anni si discute del problema Giustizia in Italia.

[dropcap]U[/dropcap]n problema annoso che risale dai tempi della Prima Repubblica allorchè fu indetto un referendum inerente alla responsabilità civile dei magistrati, l’abrogazione della Commissione inquirente e del sistema elettorale del CSM (Consiglio superiore della magistratura).
Un referendum che venne promosso sull’onda della triste vicenda di Enzo Tortora, accusato di associazione camorristica e traffico di stupefacenti trascorse mesi in stato di carcerazione preventiva, fu poi condannato a dieci anni in primo grado e poi assolto in appello con formula piena.
Il referendum raggiunse il quorum e stravinsero i Sì.
La responsabilità civile dei magistrati divenne legge (L.117/1988), ma come spesso accade nel nostro Paese, fu una legge “annacquata”.
Una legge che, si disse volle salvaguardare l’indipendenza e l’ autonomia della Magistratura stabilendo così una responsabilità più virtuale che reale.
A seguito di un lungo dibattito, lo Stato, anche a causa di continue indicazioni e sollecitudini di riforma della legge in vigore, da parte della Corte di Giustizia Europea (per inadempienza si arrivò ad una condanna dell’Italia nel 2011), procedette a modificare la normativa nel 2015.
La responsabilità dei magistrati è stata ampliata (ora sussiste anche riguardo l’interpretazione della legge), seppur confermando il principio della responsabilità indiretta (il cittadino che ha subito un danno da parte del magistrato dovrà agire contro lo Stato che a sua volta agirà nei confronti del suo “dipendente”).
Questa riforma, non ha fatto “ripartire” la macchina della Giustizia che è ancora in panne. 
Un settore al collasso con processi lunghissimi, costosissimi, che non consentono al cittadino di ottenere giustizia in tempi rapidi e certi che pongono il nostro Paese in una condizione di “inciviltà” al pari dei Paesi del Terzo Mondo.
I magistrati sostengono che lo sfacelo della Giustizia italica sia riconducibile ad una serie di motivi tra i quali, la mancanza di risorse, la disorganizzazione degli uffici, le leggi farraginose, poco chiare, numerose, e contraddittorie.
Assolutamente vero, ma tangibili segnali di miglioramento non si scorgono e le cronache di queste ultime settimane hanno, ancora una volta sottolineato lo stato della nostra Giustizia.
Discutibili atti assunti da parte di alcuni magistrati hanno scaturito l’indignazione dell’opinione pubblica.
Decisioni e atti che inevitabilmente ci fanno affermare che la mala giustizia sia ancora largamente presente in Italia.
Tanto per citare alcuni avvenimenti recenti.
Magistrato inquirente che scarcera il cittadino indiano indagato per il tentato sequestro della bambina in provincia di Ragusa; il mancato accompagnamento coatto nella clinica psichiatrica di Varazze del DJ spagnolo definito il “picchiatore seriale” di Milano che aggrediva a pugni a calci qualunque malcapitato passante incontrasse (il DJ spagnolo è affetto da una grave malattia psichica), consentendogli la fuga nel proprio Paese di origine; migliaia di sentenze non eseguite nella circoscrizione di Napoli (si dice siano 30 mila !!! Il CSM si giustifica sostenendo che ciò sia dovuto per carenza di personale amministrativo); processo per direttissima saltato a Bergamo perchè celebrato “fuori tempo massimo”; deposito delle motivazioni della sentenza dopo oltre un anno dalla sentenza di appello sull’uccisione di Sara Scazzi perpetrato dalla cugina Sabrina Misseri.
Questi sono solo alcuni esempi, i più recenti, ma le cronache locali ogni giorno riportano avvenimenti riconducibili alle storture della nostra macchina giudiziaria.
Secondo il rapporto Doing della Banca Mondiale e il rapporto European judicial systems, l’Italia è al trentacinquesimo (su 42 Paesi) posto in Europa per quanto concerne l’ efficienza giudiziaria.
Un dato inquietante che conferma quanto sia grave il problema.
Di soluzioni ne sono state proposte molte, ma di concreto nulla è stato fatto.
I Padri Costituenti vollero stabilire l’assoluta autonomia dell’organo giudiziario, tenendo fede ai principi di uno Stato di diritto, democratico e libero.
Il titolo IV della Costituzione regola l’ordinamento giurisdizionale.
“La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. I giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art 101). La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro Potere (art.104). Spettano al Consiglio Superiore della Magistratura le assegnazione, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (art 105).
Ecco, proprio partendo da questi tre articoli si dovrebbe basare la riforma della nostra Giustizia.
Come per i Poteri istituzionali (legislativo, esecutivo), anche l’ordine giudiziario è soggetto al popolo a cui appartiene la sovranità.
Un principio assoluto sancito dalla Costituzione (art. 1).
Ebbene si rivoluzioni l’ordine giudiziario.
Si mantenga l’autonomia, principio cardine di uno Stato di diritto democratico, ma si sottoponga al “giudizio del popolo” l’operato dei titolari dei vari uffici delle varie circoscrizioni italiane, sia per quanto concerne la magistratura inquirente sia quella giudicante.
No, nessun “tribunale del popolo” in stile soviet o in stile dittatura comunista.
Si importi quanto è previsto in un Paese di lunga tradizione democratica come gli Stati Uniti dove, i Procuratori (la pubblica accusa) vengono eletti dai cittadini ogni  6/12 anni.
Certo il sistema giudiziario è un common law (basato sui precedenti giurisprudenziali e non sui codici come accade in Italia), tuttavia, visto che le nostre leggi alquanto lacunose lasciano libera interpretazione ai magistrati e all’applicazione sempre più frequente di precedenti giurisprudenziali da parte della corte di Cassazione, non si veda come non si possa porre l’operato dei vari organi giudiziari al giudizio del popolo sovrano al pari dei rappresentanti delle istituzioni legislative nazionali e locali e degli organi esecutivi.
Poichè l’ efficienza dei tribunali è così marcatamente differente nelle diverse città italiane (enorme divario tra la prima, risultata Rovereto, e l’ultima, Foggia), è doveroso e urgente premiare i responsabili delle sedi con una rielezione, e “bocciare” alle urne coloro che non sono in grado di amministrare la giustizia nel loro territorio di competenza, o per chi ha compiuto “sviste” così marchiane (definiamole sviste…..) che procurano danni irreparabili a cittadini.
Cittadini che, così, risultano due volte vittime: prima da parte di colui che ha compiuto il reato,  poi dall’istituzione atta a dargli giustizia.
Poniamo sullo stesso piano magistrati e politici.
Due ruoli pubblici, con notevoli responsabilità, che amministrano il “bene pubblico” e che percepiscono gli stessi emolumenti (gli stipendi dei giudici della Corte Costituzionale sono i più alti al mondo) debbono necessariamente essere soggetti al medesimo “giudizio” del loro “datore di lavoro”: il popolo italiano.
 
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)