Paolo Rossi, il nome e cognome che ha contraddistinto il nostro Paese per una generazione.

Non solo in ambito calcistico.
Era, è e sarà sempre, un emblema, come il tricolore, come i nostri monumenti, le nostre opere d’arte.
Una bandiera, come le milioni di bandiere che addobbarono le finestre e i balconi, che sventolarono nelle piazze e nelle strade in tutto lo Stivale, in quella torrida estate del 1982.
Paolo Rossi, promessa del calcio, che cade e risorge lo scandalo del Calcio Scommesse di qualche anno prima.
Una vicenda nebulosa, contorta, con colpevoli e innocenti mischiati in un unico calderone giudiziario sportivo da cui non scaturì mai la verità.
Paolo Rossi, che rinasce in quel “mundial” di Spagna, sublime simbolo dell’Italia che usciva dagli anni bui del terrorismo, delle stragi, pronta a un nuovo “boom” economico e sociale.
Mondiale stravinto con il più tradizionale e simbolico schema tattico del football italico: il catenaccio.
“Muraglie e contrattaco” , così ci definiva la stampa estera.
Un mondiale partito in sordina, con difficoltà, tra mille polemiche e poi dominato , battendo le più forti nazionali e i più forti giocatori .
E che giocatori.
Zico, Maradona, Socrates, Junior, Passarella, Rumenigge, Stielike, Boniek, Breitner, mi fermo qua.
Un mondiale vinto senza supplementari e calci di rigore.
E poi l’iconica immagine del Presidente Pertini esultante in tribuna d’onore, come un qualunque altro connazionale presente al Santiago Bernabeu di Madrid a seguire la finale contro al Germania, e i milioni di italiani (oltre 30 milioni) incollati davanti al televisore, magari ancora in bianco e nero, che invasero le città a festeggiare il trionfo dopo oltre 40 anni dall’ultimo successo mondiale
Una festa di popolo; la prima vera festa popolare dopo quella per la liberazione del 25 aprile 1945.
Gli italiani mai così uniti. Uniti e festanti grazie ad un calciatore magrolino e ad una squadra di veri campioni.
Buon viaggio Pablito.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)