La buona sanità: funziona la rete di assistenza ai cittadini con infarto miocardico

Presentato dalla Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE) il Rapporto “Rete IMA Web 2”, seconda rilevazione nazionale sullo stato di attuazione delle reti territoriali per il trattamento dell’infarto miocardico acuto – Il 95% della popolazione italiana è coperta dalla Rete; il ricorso alla procedura salvavita di riperfusione coronarica mediante angioplastica primaria (riapertura “meccanica” del vaso e impiego dello stent) avviene nel 64,7% dei casi. Era praticata in poco più di un terzo nel 2008 – Rispetto alla precedente rilevazione 2007-2008 è inoltre raddoppiato, passando dal 42,6% al 79,6%, il numero di pazienti con infarto diagnosticato sul territorio che vengono inviati ai laboratori di emodinamica, senza transitare dal pronto soccorso, con conseguente accorciamento dei tempi di intervento.

Da GISE, le “3 regole d’oro salvacuore” ovvero come affrontare l’infarto acuto del miocardio.

“Molto positiva, pur con margini di miglioramento, ma in continuo progresso”. Questo, in estrema sintesi, il quadro dell’assistenza alle persone colpite da infarto cardiaco in Italia, fotografato dalla Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE) nel Rapporto del progetto “Rete IMA web 2” presentato oggi a Milano.

“È stato ampiamente dimostrato come il modo migliore per salvare la vita di una persona colpita da infarto del miocardio, oltre a ridurre il rischio di un altro infarto, di emorragie intracraniche e ischemie ricorrenti, sia intervenire entro 90 minuti dal primo contatto medico con una riperfusione meccanica mediante angioplastica coronarica primaria, in termini più semplici riaprire l’arteria con un catetere con palloncino e con l’impianto di uno stent”, ha spiegato Sergio Berti, Presidente GISE. “Ridurre il tempo di intervento significa ridurre la mortalità, in questo caso il tempo è vita. Perché ciò avvenga – ha aggiunto – è necessario un lavoro di squadra tra chi riceve la segnalazione dell’evento cardiaco, il 118, la rete ospedaliera dei pronto soccorso, delle cardiologie e dei laboratori di emodinamica, che devono interagire tempestivamente e rapidamente tra loro”.

Al fine di valutare il livello e la diffusione delle reti per l’assistenza a questi pazienti, la Società Italiana di Cardiologia Invasiva, con il supporto di tutta la comunità cardiologica italiana, la Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza (SIMEU) e il 118, ha realizzato il progetto Rete IMA web, rilevazione nazionale sullo stato di attuazione delle reti territoriali per il trattamento dell’infarto miocardico acuto (IMA), giunto alla seconda edizione: la prima condotta nel biennio 2007-2008, la seconda nel 2012-2013.

“Il primo dato che emerge è rassicurante – ha detto Emanuela Piccaluga, Consigliere nazionale GISE, che ha curato il nuovo Rapporto Rete IMA Web2. Circa il 95% della popolazione italiana vive in un luogo che si trova entro 60 minuti da un centro attrezzato per curare adeguatamente l’infarto attraverso un’angioplastica. Questo dato era del 92,4% nel 2008.” Piccaluga ha proseguito: “inoltre, oggi a livello nazionale l’angioplastica primaria è il trattamento di scelta del 64,7% dei casi, mentre nel 2008 ciò avveniva in poco più di un terzo dei casi.”

Un altro dato significativo e fondamentale riguarda la possibilità di fare una diagnosi precoce di infarto miocardico “sul territorio”, attraverso l’esecuzione di un elettrocardiogramma (ECG) “sul posto”, ossia al momento del primo soccorso del paziente. L’ECG consente di fare diagnosi tempestiva di infarto acuto e conseguentemente di attivare il trasporto diretto in sala di emodinamica per l’intervento di angioplastica. “Nel 2008 ciò era possibile in 7 casi su 10, oggi in 8 su 10, ma quello che è più importante è la teletrasmissione dell’ECG, attualmente utilizzata nei due terzi dei casi, che consente di inviare, una volta fatta diagnosi, il paziente nell’ospedale idoneo più vicino, riducendo i tempi di rivascolarizzazione”, ha aggiunto.

Infine, il dato che meglio testimonia l’evoluzione e i grandi passi in avanti compiuti dalla rete per l’assistenza al paziente infartuato in Italia. “È di fatto raddoppiato, passando dal 42,6% del 2008 al 79,6% del 2013, il volume degli accessi diretti, il cosiddetto fast track dei pazienti con diagnosi di infarto ai laboratori di emodinamica, senza transitare cioè dal pronto soccorso, con un accorciamento dei tempi di riperfusione. Ciò è stato reso possibile da diversi fattori – ha detto ancora Piccaluga – un maggior ricorso da parte del cittadino al 118, un miglior utilizzo dell’ECG per la diagnosi precoce, un adeguamento dei modelli organizzativi delle strutture.”

Il progetto Rete IMA Web promosso da GISE nasce nel 2007 sulla scorta di un documento di consenso redatto nel 2005 da Federazione Italiana di Cardiologia (FIC) e GISE. “Emergeva allora chiaramente – ha ricordato Antonio Marzocchi, ideatore, promotore e coordinatore del progetto – la necessità di aumentare l’implementazione della terapia di riperfusione, offrire a tutti i pazienti la migliore cura disponibile, ridurre il ritardo nel trattamento e, in ultima analisi, migliorare i risultati clinici nella gestione dell’infarto miocardico acuto, attraverso la messa a punto di una rete territoriale che comprendesse il triage preospedaliero con esecuzione dell’ECG diagnostico sul territorio e lo sviluppo di una rete interospedaliera per l’esecuzione della perfusione mediante angioplastica coronarica primaria, sulla base di un modello hub&spoke. Condividemmo con la Società Italiana Sistema 118 (SIS 118), la Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza (SIMEU) e rappresentanti delle regioni, l’idea e l’obiettivo di creare una rete integrata che rendesse disponibile la più rapida ed efficace terapia riperfusiva, per il maggior numero di pazienti, tenendo conto del contesto temporale, geografico ed organizzativo locale. Vide la luce Il progetto ‘Rete IMA web’, programma dinamico di raccolta dati online per rilevare lo stato di attuazione di questa rete in Italia.”

“Censimmo, allora, – ha proseguito Marzocchi – 157 ospedali in grado di trattare pazienti con infarto miocardico in atto grazie alla disponibilità di un laboratorio di emodinamica, ossia la struttura in cui eseguire l’angioplastica, attivo 24 ore su 24, per 7 giorni la settimana; altri 75 erano dotati di emodinamica non attiva H24 e 199 di unità coronarica UTIC, ma senza emodinamica. Oggi le 157 emodinamiche attive H24 sono diventate 188, con un incremento del 20%, ovviamente si sono ridotte a 45 quelle non attive H24.”

La seconda rilevazione sullo stato della Rete è stata realizzata in collaborazione con il progetto “Stent for Life”, promosso dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e di Interventistica Cardiovascolare (EAPCI), fatto proprio in Italia da GISE. “Il nostro obiettivo era di assicurare a tutti i pazienti con infarto miocardico acuto pari opportunità di tempestivo accesso alla procedura salva-vita dell’angioplastica primaria”, ha detto Leonardo De Luca, Project leader di “Stent for Life”. “In circa tre anni di lavoro abbiamo identificato gli eventuali ostacoli all’attuazione di un sistema di rete funzionale ed efficiente ed abbiamo cercato di favorire la realizzazione delle reti per l’infarto anche attraverso la stesura di decreti regionali, laddove non fossero già presenti. D’altronde, l’Italia è stata tra i primi Paesi europei ad eseguire l’angioplastica primaria: alcune aree e regioni del nostro Paese sono tuttora un modello per l’organizzazione della rete per l’infarto”, ha aggiunto.

“I dati GISE documentano come in Italia si eseguissero già nel 2008 circa 24.000 angioplastiche primarie, cresciute a circa 32.500 (con un aumento di oltre il 35%) nel 2014 – è intervenuto Sergio Berti. Non si tratta solo di una crescita in valori assoluti. Grazie, infatti, all’adesione di alcune regioni target al progetto “Stent for Life”, con la realizzazione in poco tempo di documenti di condivisione di percorsi inter- e intraospedalieri e di adeguamento dei modelli organizzativi, il risultato che abbiamo ottenuto è anche una maggiore omogeneità di trattamento dell’infarto miocardico sul territorio nazionale e, in ultima analisi, un significativo miglioramento nella gestione complessiva e nel trattamento dei pazienti infartuati a tutto vantaggio dei cittadini italiani, anche se migliorare è sempre possibile e dobbiamo continuare a perseguire questo obiettivo” ha concluso Berti.

“Tutto questo è stato fatto, ed è fatto, non soltanto con lo scopo di migliorare da un punto di vista medico e clinico le performance dei laboratori di emodinamica e delle strutture in cui operiamo – ha infine detto Alfredo Marchese, Consigliere nazionale GISE con delega ai rapporti con le associazioni dei pazienti – bensì tenendo bene in mente i bisogni del paziente e del cittadino.  Partendo dal presupposto che per migliorare è necessario conoscere e che conoscere aiuta a confrontarsi, la fotografia che in questi anni abbiamo tracciato permetterà alla Società Italiana di Cardiologia Invasiva, in collaborazione con le associazioni di pazienti, anche attraverso la condivisione e la fruibilità di documenti congiunti informativi ed educativi, i tecnici del nostro Servizio sanitario e i decisori regionali, di agire con due obiettivi precisi: garantire l’accesso a questa, e ad ogni altra procedura salvavita futura, al maggior numero possibile di cittadini e favorire, anche nelle aree del Paese in cui questa Rete è ancora debole, un adeguamento ai livelli più elevati.”

Le 3 regole d’oro salvacuore   (ovvero come affrontare l’infarto acuto del miocardio)

  1. MAI PENSARE: “NON PUÒ CAPITARE A ME!”

Se provi un forte dolore al torace, prolungato, insorto a riposo, intenso – come una “morsa” al petto – non attendere che ti passi. L’infarto non si manifesta sempre con il più conosciuto dolore al braccio, ma può coinvolgere lo stomaco, la spalla, il collo, la mandibola, anche la schiena tra le scapole. Talvolta, specie negli anziani, nelle donne e ancor più nei diabetici può esordire in modo subdolo con una “semplice fame d’aria o affanno improvviso”: non cercare di autodiagnosticare un eccesso alimentare o un fantomatico colpo d’aria, chiedi rapidamente aiuto.

  1. AL MINIMO SOSPETTO, CHIAMA IL 118

Non aspettare l’arrivo di un familiare, non chiedere a un vicino di accompagnarti all’ospedale, non cercare un taxi. L’ambulanza, con il personale specializzato, è l’unica e più rapida soluzione.

  1. NON ASPETTARE CHE TI VENGA L’INFARTO, ANTICIPALO!

Fumi, hai colesterolo e trigliceridi alti, la pressione elevata, sei una persona con diabete, sei sovrappeso o persino obeso, sei pigro e ti muovi poco, hai familiari che hanno già avuto un infarto? Sei una persona a rischio! Non attendere l’infarto, evitalo modificando il tuo stile di vita. Soprattutto, se negli ultimi giorni o mesi hai avuto dolore al petto (angina), anche se ti è passato rapidamente, in pochi minuti, consideralo un campanello d’allarme. Contatta il tuo medico di famiglia o il cardiologo di fiducia.