Si osserva con sorpresa ma anche con una certa preoccupazione che si ritorna a parlare di liberalizzazioni nella distribuzione dei farmaci. Sorpresa perché di tutti i settori che – ad avviso degli ultimi governi – erano affetti da gravi deficit di concorrenza e da ostacoli all’ingresso, la rete delle farmacie di comunità è l’unica su cui si è intervenuti realmente. Tanto è vero che con il concorso straordinario voluto dal Governo Monti si apriranno altre 2500 farmacie. Questo significa che il totale salirà a oltre 20mila, mentre in Gran Bretagna, paese non certo in deficit di liberalismo, ce ne sono soltanto 12mila per una popolazione superiore a quella italiana. E’ facile prevedere che un ulteriore aumento del numero può preludere solo a una raffica di aperture e repentine chiusure: già oggi sono oltre 4000 le farmacie in difficoltà economica e di queste una su dieci rischia il fallimento. Allo stesso modo, non si comprende per quale ragione si riproponga la vendita dei farmaci soggetti a prescrizione non rimborsati (Fascia C) al di fuori delle farmacie convenzionate, quando sia la Corte Costituzionale sia la Corte di Giustizia Europea hanno ribadito che questa previsione non contrasta con le regole, anche comunitarie, sulla concorrenza e la libertà di stabilimento ed è funzionale alla tutela della salute pubblica. Senza considerare che solo due anni fa, una ricerca indipendente della Gesundheit Österreich sugli effetti della deregulation in Europa ne ha smentito i presunti benefici: aumentano le farmacie nelle aree economicamente ricche peggiorando il servizio nelle altre, si creano posizioni dominanti da parte dei soggetti economici più forti, e nemmeno si ottiene, se non nel brevissimo termine, la discesa del prezzo dei medicinali che il cittadino paga da sé. La Federazione degli Ordini dei Farmacisti ribadisce che il servizio farmaceutico è innanzitutto un servizio al cittadino e non può essere considerato un “mercato” da aprire a soggetti economici forti che hanno visto inaridirsi, per effetto della crisi o per scelte imprenditoriali poco oculate, i loro settori tradizionali di attività. E non pare credibile, a questo proposito, che sia l’Europa a chiedere all’Italia di applicare modelli che a casa propria si guarda bene dall’istituire. E’ sperabile che prima di applicare criteri economicistici a un pilastro fondamentale del SSN, le misure in elaborazione vengano preventivamente sottoposte al vaglio di un tavolo di tutta la filiera in raccordo con il Ministero della Salute.