Dalla semplice matricità della terracotta,

il soffio della creazione artistica

fa affiorare personaggi che sembrano venire da lontano.

 

Una decina di anni fa mi era capitato di vedere gli “Embrici” di Enzo Scuderi a casa di un suo collezionista di Parigi. Affascinata, avevo voluto programmare un giro fino alla canonica in cima all’assolata collina di S.Dalmazio di Pomarance, l’eremo eletto dall’autore a suo rifugio toscano e ne era nato un primo articolo. D’origine squisitamente siciliana, dopo la Facoltà di Architettura a Firenze e appassionate ricerche artistiche durante i lunghi anni di attività nella metropoli milanese, aveva operato la grande scelta. Per dare spazio alla sua vita interiore, nel silenzio e nella natura, il piccolo borgo toscano, quasi suo baricentro tra nord e sud, era stata la soluzione perfetta. Nel restaurare i tetti della chiesa sconsacrata di San Bartolomeo, che sarebbe diventata il suo atelier, si era trovato in mano antiche tegole, grandi embrici a forma di tronco di piramide coperti da segni di licheni e ne era rimasto affascinato per quello che v’intravedeva. In una sorta di nobile recupero aveva cominciato a graffiarne impercettibilmente la superficie quasi a voler portare alla luce i misteri che poteva celare. Così, ben nutrita dal suo intuito poetico, esercitato all’introspezione, era nata la sua nuova irruente passione. Dalla superficie stessa del cotto, più o meno profondamente scavata, affioravano le sfumature dell’incarnato di personaggi misteriosi, che definiva poi con lievi, quasi impalpabili tratti di china, mentre algidi tocchi di bianco lumeggiavano gli occhi, rendendo penetranti gli sguardi. Un’arte che è pittura e scultura, fatta di armonie e di contrappunti. Spesso negli anni, le sue raffinate mostre “cult” , da “Cotto di terre sonore” realizzata nella cripta della Chiesa di S.Maria del Parto a Napoli, a quella nel foier del Teatro dei Differenti a Barga in occasione del Festival Opera, a “Canti e incanti dei licheni”, allestita nella Galleria Larga di Firenze, il suo legame profondo con la musica sottende e potenzia la creazione artistica.

Ora è la volta di “Fidelio, riflesso in terrecotte”, una decina di stupefacenti pezzi, omaggio all’opera che quest’anno apre la stagione scaligera. ” Non sento… ma la Musica sono io” è il titolo dell’opera che dedica alla figura di un Beethoven calvo, maturo e sordo che negli ultimi anni componeva il magnifico” Quartetto per archi Op. 131″ senza sentire l’ombra di una nota.” La sua nota di humour sdrammatizzante in quest’epoca di crisi ci sta. Uno stimolo a trasformare le difficoltà in opportunità e anche in questo Enzo Scuderi è un maestro.

www.enzoscuderi.it

Di Maria Luisa Bonivento