Tra pochi giorni inizieranno i mondiali di calcio che si disputeranno in Qatar.

Per la prima volta nella storia, l’evento calcistico più importante si terrà durante l’inverno boreale, con la sosta obbligata di oltre un mese per tutti i campionati nazionali europei.

Un’ eccezione determinata dal clima torrido del desertico Paese della Penisola arabica che non avrebbe consentito “la normale” collocazione estiva.

Un’ eccezione questo campionato del mondo non solo per ragioni di calendario e climatiche, ma per la scelta dettata dai petrodollari che il Qatar ha speso e sta spendendo per l’organizzazione dell’evento.

Dall’assegnazione fino ad oggi molteplici voci critiche hanno stigmatizzato la decisione da parte delle Istituzioni internazionali del football nel lontano dicembre 2010.

Corruzione, violazione dei diritti, mancanza di sicurezza nel cantieri (molti decessi durante i lavori di costruzione degli stadi e delle infrastrutture, si parla di oltre 6500!), l’Emirato arabo non è certo un esempio di libertà; non è una democrazia; per anni ci furono accuse di collusione con alcune organizzazioni terroristiche islamiche che indussero ad applicare un embargo dei Paesi limitrofi durato fino al gennaio 2021.

Una scelta infelice, per usare un eufemismo.

Ma c’è di più. Non si deve porre solo l’attenzione al tipo di forma di stato e di governo rappresentata dal Qatar.

La storia dei mondiali, tuttavia, racconta che in altre edizioni il Paese ospitante era governato da regimi autoritari e illiberali.

Nel 1978 il mondiale di calcio si disputò in Argentina.

Il Paese sudamericano era governato dalla sanguinosa dittatura argentina del generale Videla caratterizzata dal triste fenomeno dei “desaparecidos”, oltre 30 mila uomini e donne torturati e uccisi in quanto oppositori del regime (molti dei quali gettati da aerei in volo sopra l’oceano Atlantico).

Quel mondiale fu vinto proprio dal Paese ospitante.

Una vittoria fortemente “voluta” dal regime, tanto che la squadra “albiceleste” giunse in finale vincendo il secondo girone eliminatorio grazie alla poca resistenza della nazionale peruviana che fu sconfitta per 6-0.

Analogie, la storia che si ripete?

Non del tutto se volgiamo lo sguardo oltre la forma di governo dei Paesi ospitanti.

Perchè il mondiale del 1978 era “inserito” in un contesto calcistico “tradizionale” dove le gesta sportive o l’organizzazione di un simile evento rappresentavano un vanto per la Nazione vincitrice o organizzatrice (ancor di più per i regime autoritari), ma in quel contesto, i veri protagonisti sarebbero stati per sempre i calciatori che alzarono la coppa o disputarono la finale.

Chi potrà mai dimenticare Kempes, Passarella, Bertoni, Ardiles (tra l’altro protagonista, insieme a Pelè , del film: Fuga per la vittoria, 1981) o l’Olanda finalista di Krol, Neeskens, Rep, Van de Kerkhof, “orfana” del mitico J.Cruijff ?

La dittatura di Videla non ebbe mai influenze al di fuori dei suoi confini e terminò nel 1983 lasciando il Paese nella bancarotta.

Oggi, invece, il calcio è stato immolato sull’ altare del business.

Non si può più definirlo “giuoco”, tanto meno è difficile farlo rientrare nella categoria “sport”.

Il “nuovo entertainment” è un prodotto globale incentrato su diritti televisivi, marketing sfrenato, possedimenti immobiliari dove gli stadi di proprietà sono solo un tassello, con i tifosi trasformati in clienti fidelizzati con tanto di tessera “punti” e liste d’attesa per l’ acquisto di biglietti e di abbonamenti annuali; con i procuratori dei giocatori che gestiscono i loro assistiti come fossero multinazionali e dove i “padroni” del calcio moderno sono fondi di speculazioni privati o pubblici che sono la propaggine, come nel caso del Qatar, ma non solo, del regime autocratico che governa lo Stato.

I “petrodollari”, i “china-yuan”, i fondi di investimento speculativi americani, inglesi, sono i nuovi proprietari delle più importanti compagini del mondo del football.

Del resto , ormai, il calcio è inserito nella più totale globalizzazione finanziaria ed economica, dove passione, identità, tradizioni, identificazione, paradigma del popolo e del livellamento, per 90 minuti, delle differenze sociali non esistono più.

Ma non solo.

Ritornando al mondiale qatariota dove nel Paese arabo democrazia, libertà e diritti non sono valori eminenti, l’organizzazione dell’evento è solo un tassello dell’ egemonia globale che da anni si espande in ogni angolo del Pianeta.

Il calcio è solo uno dei tanti biglietti da visita di questi Paesi emergenti e ricchissimi.

L’acquisto dei vari clubs europei è solo un veicolo di espansionismo nel progetto egemonico dei vari settori economici mondiali.

Arte, edilizia, meccanica, chimica, commercio, trasporti, non c’è settore economico dove Emirati, Cina, fondi speculativi privati non veda la presenza della loro “marcata” influenza e del loro assoluto possesso.

Tutto deve essere monetizzato, generare profitto, anche il calcio, pardon il “nuovo entertainment”.

Si potrebbe domandare per quale motivo il calcio sia stato trasformato in entetertaiment, al pari di un programma televisivo, di una pellicola cinematografica o di un videogioco.

Facile, tutto è finalizzato al profitto e all'”acquisto” di nuovi clienti/tifosi.

Ultima frontiera aperta, l’e-game.

Appurato il fatto che le nuove generazioni non sono appassionate all’evento calcio, ma maggiormente attratti dai videogiochi, ecco che il calcio moderno, da qualche anno, entra prepotentemente nel mondo delle sfide degli e-game con tanto di “concessione ufficiale” del marchio e dei colori da parte delle squadre che a loro volta si fanno sponsorizzare lautamente dalle majors dei videogiochi. E poi ecco “l’ingaggio”, sulla falsa riga del mercato dei giocatori “tradizionali”, dei migliori players per vincere i campionati nazionali e internazionali organizzati come qualunque altro evento sportivo “classico” (non è da escludere un inserimento di questi nuove “attività” pseudo-sportive alle prossime Olimpiadi).

Eventi con tanto di pubblico pagante e tifo dagli spalti delle “nuove arene”.

Una trasformazione sempre più virtuale dello sport (ex sport) più seguito al mondo dove anche e, soprattutto, i clienti/tifosi (sempre più virtuali quasi olografici) sono solo uno dei tanti elementi che certi Paesi non democratici considerano parte del loro progetto di egemonia economica, sociale e culturale worldwide.

Nessuna critica, nessuna “denuncia”, nessuna presa di coscienza da parte dei tifosi, magari più tradizionalisti, più consapevoli di cosa stia accadendo da oltre un decennio ?

Poche voci, pochi “rivoluzionari e resistenti” a difesa del Calcio Vero.

Alcune curve si sono distinte nelle ultime settimane esponendo striscioni in cui si afferma, con forza, l’avversione nei confronti dei mondiali imminenti esprimendo la volontà di boicottare l’evento qatariota.

In Italia emblematico il mega striscione sposto dalla curva nord atalantina durante la partita di domenica scorsa che ribadiva l’antico motto rappresentativo dell’attaccamento per il Vero Calcio, il calcio tramandato da padre in figlio: No al calcio moderno, no alle pay.tv!

Minoranze ?

Forse, ma è bene ribadire quanto, sempre i sostenitori della Dea, manifestavano negli anni 89/90 con una pezza che capeggiava in ogni stadio quando l’ Atalanta giocava: “La minoranza è ovunque!”.

E queste “minoranze” saranno difficili da sconfiggere ed eliminare, soprattutto se il boicottaggio non si limiterà solo al mondiale in terra araba.

Si deve salvare il Calcio e anche le nostre tradizioni, i nostri Paesi, i nostri diritti sociali e civili, il nostro presente e futuro.

Massimo Puricelli
Castellanza(VA)