La Fondazione Trussardi, in occasione della settimana della Milano Art Week e della Design Week, ha messo il saio ai Dazi neoclassici di Porta Venezia.

Chi passando in macchina, a piedi o in bicicletta anche varie volte al giorno, dava per scontata l’esistenza dei due imponenti edifici  dall’indubbio valore storico artistico, sarà colpito dall’estraneità di due maestosi oggetti materializzatisi al loro posto, come piovuti dal cielo.  Qualcosa come due montagne rocciose che si stagliano contro il cielo milanese, azzurro come non mai, o due immensi sacchi di carbone a ricordo di quelli un tempo confezionati per i “bambini cattivi” invece dei regali.
L’importante funzione di un’opera temporanea, ma senza tempo come questa, è lo scomparire non appena scatenato il dibattito, con una tempistica “mordi e fuggi” perfetta per la mentalità moderna, dei Millenials per esempio. In questo caso non si tratta solo di celare alla vista qualcosa di famigliare per risvegliarne l’interesse e ripresentarlo con i crismi della novità di lì a poco, come una sorpresa nell’uovo di Pasqua. C’è molto di più.
Che bello impacchettare i monumenti a Milano. L’aveva fatto l’artista Christo negli anni Settanta. Per criticare, già allora, il mondo dei consumi, aveva avvolto con una seconda pelle il complesso scultoreo dedicato a Leonardo da Vinci in Piazza Scala e la statua equestre di Vittorio Emanuele in Piazza Duomo,  due monumenti sotto lo sguardo di tutti.

La Fondazione Trussardi colpisce ancora. alla grande.

La zona superiore dell’installazione

Non a caso la Fondazione Trussardi, istituzione no profit privata, in occasione del sedicesimo anno della propria “attività nomade”, ha commissionato il progetto speciale dell’installazione in Porta Venezia a Ibrahim Mahama, artista trentaduenne del Ghana, con personali e collettive in tutto il mondo, quest’anno per la seconda volta presente alla Biennale di Venezia. E non a caso il titolo dell’installazione è A FRIEND. Motivi ispiratori sono “la migrazione” in un mondo globalizzato, “la circolazione di merci e persone” e quindi “la forza lavoro che si cela dietro la circolazione internazionale delle merci”.  

La Fondazione Trussardi colpisce ancora. alla grande.

Un particolare del manto costituito da sacchi di juta usati e riusati

Non solo juta. 

I sacchi diventati spesso alter ego di persone, dei migranti nelle piantagioni, che spesso vi hanno scritto il proprio nome e il villaggio di provenienza, sono messaggi di umanità che filtrati dall’arte creano empatia. Cuciti tra loro, i tessuti dei vari sacchi, diversi tra loro per trama, tonalità, scritte colorate, strappi, tagli creano un patchwork dal sapore etnico che richiama l’immagine di “garze che riparano le ferite della storia” coniata dal direttore del Guggenheim J.J.Sweeney per le opere di Burri.    

Matericità della trama, tonalità dei colori, tagli che sembrano creati ad arte rendono esteticamente affascinante un’installazione carica di significati sottesi

Diamo i numeri. 

10.000 sono i sacchi di juta riutilizzati ogni volta per nuove installazioni, otto le Guide Alpine Lombardia che hanno montato l’installazione, 5.000 i metri quadrati di superficie rivestita, 1000 i metri di filo d’acciaio utilizzato per costruire la struttura di fissaggio ai Caselli. Chiodi? Neanche uno.
Perché lì? I caselli neoclassici di Porta Venezia, un tempo Porta orientale, evocati in molte stampe e dipinti, sorgono lungo l’asse viario dove già c’erano i confini e i limiti della città in epoca spagnola. Perfetti, quindi, per richiamare il concetto di passaggio. Si tratta dell’ingresso alla città scelto tra le sei porte principali della cinta urbana per le sue implicazioni storiche, dalle descrizioni nelle pagine dei Promessi Sposi, alla funzione come luogo di scambio commerciale. Non a caso situato vicino a una parte della città con forte e prospera presenza africana, può simboleggiare la soglia tra “l’interno e l’esterno, tra il sé e l’altro, tra l’amico e il nemico”, non solo limite, ma inclusione se si pensa alla famosa realtà degli eleganti “Bagni Pubblici” di Piazza Oberdan, storico spazio di accoglienza all’arrivo in città ai tempi in cui il futurista Marinetti definiva “Milano, la caffeina d’Europa”.

La Fondazione Trussardi colpisce ancora. alla grande.

Juta con inserti in metallo vicino all’ingresso, fa da sfondo al ritratto di IBRAHIM MAHAMA autore dell’installazione

Ora come un tempo, all’insegna dei corsi e ricorsi storici.

www.fondazione nicolatrussardi.com

TESTO E FOTO DI MARIA LUISA BONIVENTO