Le statistiche ci dicono che il commercio al dettaglio è ancora fermo e che il settore abbigliamento non gode “di buona salute”.
Sono dati ormai consueti visto la lunga crisi che stiamo attraversando.
Le cause, i motivi che gli economisti di tutto il mondo continuano da anni a spiegare e a divulgare non tengono in considerazione un aspetto meno scientifico e più “prosaico”: la cortesia degli addetti dei negozi. 
Fortunatamente non tutta la categoria difetta in empatia nei confronti della clientela, ma ora è difficile ritrovare il garbo con cui i vecchi “bottegai” si relazionavano con i clienti.  
In un pomeriggio freddo seppur illuminato da una luce solare che prelude l’ormai prossimo equinozio primaverile, decido di fare una capatina presso il centro di una città della zona per osservare le vetrine e cercare qualche buon affare. 
Mi soffermo davanti un noto negozio di abbigliamento. Una boutique che non sembra risentire della crisi del settore tanto che i locali sono stati ristrutturati recentemente e noto che gli scaffali sono quasi vuoti, probabilmente “presi d’assalto” nei primi giorni dei saldi.
Del resto “il lusso” non mostra mai indici di decremento delle vendite, anzi l’ alta gamma di qualsiasi settore in tempo di crisi aumenta il fatturato.
Scorgendo alcuni oggetti che potrebbero interessarmi decido di attendere l’orario di apertura.
Cerco di riscaldarmi dai rigori invernali e guardando il bar prospiciente, mi accorgo che le due commesse, nonchè proprietarie (che conosco di vista), stanno finendo di consumare una bevanda calda.
Mi notano, io accenno un saluto e loro non “fanno nemmeno una piega”, fingendo di non vedermi e continuando nella loro chiacchierata. 
Escono dal bar, attraversano la strada e senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, continuando la loro conversazione, si recano lentamente nel retro bottega e entrano nei locali ancora bui.
Nonostante l’orario di apertura sia passato da oltre 10 minuti, non appena si accendono le luci delle vetrine e del locale mi accingo ad entrare spingendo il pesante portoncino d’ingresso della boutique che, però, con mia sorpresa e irritazione, è ancora chiuso a chiave.
Faccio un cenno con la mano, manifestando l’intenzione di entrare e una delle commesse mi risponde “piccata” con gesti delle mani, che devo aspettare la collega “che giri la chiave inserita nella serratura interna”.
Caspita, penso, è evidente che tale complicata azione deve essere effettuata solamente da colei che ha sostenuto un corso progredito di apertura serrature con chiave normale nella sede della NASA, della CIA ,della STASI o del KGB.
Trascorrono altri due minuti e finalmente giunge “l’agente dei servizi di sicurezza della boutique” che gira la chiave con due mandate e se ne va senza nemmeno aprire l’anta d’ingresso e salutare (evidentemente non fa parte delle sue alte e professionali mansioni).
Entro, saluto, ricevendo un abbozzo di risposta più simile ad un suono onomatopeico o ad un vocabolo di qualche lingua estinta (che so aramaico, etrusco, fenicio) e nemmeno un parvenza di scusa per la mia attesa dovuta al loro ritardo.
Cortesemente chiedo informazioni inerente il prezzo, la taglia, il materiale di un paio di capi di un noto stilista straniero.
La risposta che ottengo è laconica, scorbutica, evasiva, quasi fossero disturbati dalla mia legittima domanda.
Probabilmente li avevo interrotti dalla svogliata lettura di un rotocalco di gossip, oppure non sopportano che nel loro negozio entri clientela che ponga domande sui capi in vendita, oppure l’orario non era quello giusto per fare acquisti, oppure non sono un cliente “storico” e pertanto debbo affrontare una serie di prove psico-attitudinali per poter superare un “test di ammissione”. Boh.
Ho l’ardire di chiedere di poter visionare una camicia esposta in vetrina per poter esaminare la fattura, il tipo di materiale, il colore e la responsabile, con un comportamento che dimostra evidente seccatura, apre le ante della vetrina e depone l’oggetto sul bancone (meglio sarebbe definire “getta”)continuando nella lettura del rotocalco.
Lo confesso, avrei voluto rispondere in malo modo e offendere le due “carampane”, ma agisco in maniera più “sottile”.
Chiedo con “falsa cortesia” di poter visionare altri capi di abbigliamento, non solo camicie, ma anche pullover, giacconi e pantaloni. 
Sconcertate e chiaramente seccate, le due responsabili non possono fare altro che soddisfare la mia richiesta.
Dopo oltre 15 minuti di attenta disamina della merce (oltre 20 capi sono presenti sul bancone in legno di rovere) dichiaro con un sorriso smagliante che non ho trovato nulla di mio gradimento.
Saluto cordialmente ed esco dalla boutique lasciando macerare nella rabbia le commesse che dovranno interrompere le loro amene letture e risistemare vetrine e scaffali.
Mentre mi accingo a raggiungere l’auto parcheggiata rifletto su quanto sia cambiata la società in questi ultimi decenni, di quanto la cortesia, la cordialità, il garbo, siano una rarità e di quanto l’arroganza sia imperante in ogni settore.
Tuttavia mi accorgo, anche e soprattutto, che il sole sta declinando lentamente e un leggero tepore mi riscalda il viso, sul quale non riesco a celare un sorriso di evidente soddisfazione.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)