Daniela Ravaioli, mente e anima di Radà, noto marchio di gioielleria, ha strutturato il brand, che oggi festeggia 35 anni dalla sua fondazione, come estensione della sua personalità visionaria e anticipatrice di stili e tendenze. Ha impresso un’impronta originale nel mondo del gioiello, dando vita a un’azienda capace di attraversare i lustri conservando un’identità nitida eppure reagendo al mondo che cambia con autentico spirito imprenditoriale.

Sede a Forlì. Trasformazione da azienda artigianale a realtà produttiva in grado di creare collezioni con gli stessi ritmi della moda. Capacità di internazionalizzarsi, mantenendo ferma la qualità dei manufatti. Evoluzione dalle fiere al business 3.0

Queste, le tappe fondamentali di un successo, alle quali si aggiunge un incontro importante, quello con Muriel Grateau, stilista di Complice e musa ispiratrice di Daniela: “Lei mi ha insegnato a vedere le perle con occhi nuovi, sempre contemporanee; soprattutto mi ha trasmesso il potere di lungimiranza secondo il quale oggetti ignorati nel presente diventeranno irrinunciabili nel futuro prossimo”.

Da quel momento, l’amore per le perle diventerà un caposaldo di Radà, una sorta di elemento primario dal quale non prescindere.
L’azienda italiana rappresenta un unicum creativo che è diventato successo imprenditoriale internazionale. Nota in Giappone come una griffe, venduta nel tempo dai principali premium store del mondo quali Barneys, BloomingdalesSaks Fifth Avenue, L’Eclarieur, BrownsJoyce10 Corso Como (Seul), Galeries Lafayette (Parigi, Dubai), Isetan (Tokyo), Luisa Via Roma, etc.. capace di autofinanziare la propria crescita procedendo per step nel corso degli anni, la piccola realtà di Forlì ha creato un modello di business creativo-industriale che vede da un polo la manualità delle ricamatrici/assemblatrici e dall’altro gli schemi produttivo/commerciali tipici di un’azienda moderna.
La creatività fluisce sempre sullo stesso percorso dell’evoluzione di impresa. 

L’excursus di Radà è affascinante e molto affine alla natura esuberante e determinata della fondatrice, che per le donne e i loro codici espressivi ha sempre avuto un’autentica passione, da osservatrice quasi antropologica: “Le ho sempre osservate, cogliendo la raffinatezza delicata delle orientali e l’ostentazione vistosa delle russe, cercando di metabolizzare come indossavano le cose e con quale alchimia le proponevano”.
Gli occhi di Daniela Ravaioli sul mondo diventano il filtro con cui Radà imprime i suoi assemblaggi materici sulla retina del gusto.  Con la determinazione ferrea di “diventare famosa”, frase che la piccola Daniela pronuncia a soli quattro anni entrando nella cucina della grande casa rurale in cui viveva con i genitori e dando l’incipit alla sua vita.
“Ho agito seguendo Daniela”, è solita dire. E il suo seguire “Daniela” la porta in un excursus storico creativo che dura da lustri, poggiando su estro, ricerca, competenza tecnica.
Si, perché saper creare significa “padroneggiare la materia”.  E Daniela con la materia ha un rapporto stretto sin dagli esordi nella grande cucina di mamma da quelle prime piume di fagiano che trasforma in orecchini da vendere il giorno dopo a negozi prestigiosi come Parisotto, a Bologna.
Le sue boutades originali, anticonformiste, capaci di dare un senso decorativo profondo all’accessorio di moda, piacciono subito.  Inizialmente intuitive e poi, nel corso degli anni, fondate su uno studio profondo dei materiali e sulla capacità di prevedere i corsi e ricorsi del gusto collettivo.
I primi anni scorrono attraversando le sere e le notti, con le mani che assemblano e che portano gli oggetti nelle boutique più prestigiose di Bologna.  Inizialmente, gli accessori di Daniela Ravaioli nascono da un’intuizione, da particolari come piume, pelliccia, conchiglie, rubati alla natura e tradotti nel linguaggio glamour da una sensibilità curiosa, acuta, capace di precorrere i tempi.
Nel 1982 nasce la Radà di Daniela Ravaioli. Ma è solo con la prima fiera francese, all’Hyppodrome, qualche anno più tardi, che la piccola realtà artigianale si trasforma nella BSR e accelera potentemente fatturati e notorietà. Un’azienda dal cuore creativo accostato a una capacità di programmazione e di evoluzione in sintonia perfetta con i codici del proprio DNA artistico.
Dalla prima collezione all’espansione mondiale
“La ricerca è tutto. Ma altresì la capacità tecnica, la conoscenza della materia, è un atout da cui non si può prescindere”.
Daniela Ravaioli impara il mestiere di fondere i metalli, assemblarli, trasformarli. Ogni lunedì a Firenze, fino al giovedì, a bottega, in mezzo agli operai con la fiamma ossidrica in mano. Esplora tecniche di lavorazione del vetro, impara a creare vasi, a comporre la pietra e dipingere con l’oro. I primi campioni vengono forgiati da lei stessa, manualmente.
Intanto, arrivano consulenze per Complice, Genny, Lacroix. Pezzi iconici, di sfilata, vengono affidati alle mani e all’estro di Daniela. Grosse boules, orecchini minareto, bangles in vimini, oggetti unici la cui sostanza ispiratrice si trova ancora oggi sparsa negli uffici stile delle griffe internazionali.
Negli anni Ottanta il marchio incorpora l’influsso punk con pezzi in metallo spruzzato di vernice e gomma; poi il registro cambia e si lascia permeare da Jean Paul Gaultier e dalla corrente New Romantic: le code di visone di Radà finiscono su Harper’s Bazaar, i pon pon id pelliccia diventano cult, al pari dei bangles di vimini. Dopo l’esposizione a Parigi, all’Hyppodrome, Radà sboccia sul mercato internazionale.
In particolare, in Giappone, vista la passione endemica per le perle vissute alla maniera di Radà: assemblate con cristalli e catene, smontate dall’impalcatura classica e ri-modulate in maniera moderna, inusuale, unica.
I viaggi temporali, nel fluire dei decenni del Novecento, restano per la fondatrice di Radà irrinunciabili. Sempre con idee di tendenza molto chiare, come la determinazione con cui acquistò in un mercatino di Londra l’abito settecentesco a balze di tulle rosso che sarebbe diventato il suo vestito da sposa anni dopo.
Poi, nel 2002 subentra la passione per il ricamo e la tecnica di assemblaggio cambia.
La curiosità è sostanziale, non si ha mai finito di conoscere. Una volta chiuso un mondo, io ne apro un altro. E guardo sempre avanti, non conservo archivi delle mie collezioni perché non sono abituata a rivolgere lo sguardo al passato”.
Lo spirito imprenditoriale di Daniela Ravaioli conia un nuovo codice creativo: quello del gioiello cucito, con una memoria di filigrana a ricoprire il telaio ricamato.
Radà oggi è un marchio conosciuto nel mondo, leader di mercato in Giappone ed insediato nelle migliori boutiques e multimarca italiani ed internazionali.
L’azienda ha evoluto gli strumenti di diffusione in parallelo con i mutamenti tecnologici. Un press office di caratura, un lavoro che procede serrato da un paio d’anni accanto a un digital strategist, sponsorship sui principali social network come Instagram e Facebook ed un e-commerce avviato.
Da tre anni Radà si muove con le stesse logiche della moda, facendo cioè delle preview, delle collezioni crociera, in linea con il desiderio della consumatrice di cose nuove e fresche a prescindere dalla stagionalità canonica.
La potremmo definire un’industria artigianale: ogni pezzo è fatto a mano, ma il concept delle collezioni segue un programma industriale, capace di tempi di consegna e di manifattura pianificati.
L’audacia è parte del codice genetico di Radà. Unitamente alla competenza tecnica, alla conoscenza della storia della moda e del costume, allo spirito di osservazione e alla capacità imprenditoriale.
Dalla prima collezione, intrisa di sapore bizantino e ispirata ai mosaici ravennati, la tendenza di Radà a sfondare le barriere dell’ovvio per mischiare codici apparentemente antitetici non si è mai sopita. La creatività è diventata impresa capace di muoversi attraverso l’abilità delle mani per arrivare al mondo 3.0