Con il termine Salute Collaborativa (tradotto dalla definizione inglese People Powered Health) Nesta Italia  intende trasmettere l’idea di un approccio innovativo per risolvere le sfide della salute e del welfare, basato su alcuni elementi fondamentali quali la centralità della persona e dei suoi bisogni, la sua responsabilizzazione e coinvolgimento attivo e la valorizzazione di dinamiche collaborative a vari livelli, per esempio tra medico e paziente, tra pazienti affetti dalla stessa patologia, tra professionisti, caregiver o membri di una certa comunità.

L’allungamento medio dell’aspettativa di vita nel nostro Paese, il peggioramento della qualità della stessa, le lunghe liste d’attesa per le visite specialistiche, le disuguaglianze nell’accesso alle cure e la contrazione delle risorse necessarie al sostegno del welfare sono gli indicatori di un “sovraccarico” del sistema sanitario italiano che mettono a dura prova l’attuale sostenibilità e funzionalità dei meccanismi di prevenzione e cura della salute.

Da queste premesse Nesta Italia, fondazione per l’innovazione sociale con sede a Torino, ha deciso di intraprendere un lavoro di ricerca durato sei mesi, svolto in collaborazione con i partner LAMA (agenzia con sede a Firenze che progetta, realizza e valuta l’impatto di soluzioni innovative per affrontare il cambiamento in risposta alle sfide del presente e del mercato globale), WeMake (il Fablab con sede a Milano  che fornisce una serie di servizi e formazione alla comunità di creativi e imprese) e UniCredit che, attraverso il programma Social Impact Banking, identifica, finanzia e promuove iniziative con un impatto sociale positivo.

I risultati di questo lavoro sono contenuti nel report “La Cura che Cambia – Pratiche e culture di Salute Collaborativa in Italia” il primo paper elaborato da Nesta Italia a un anno dalla nascita (da quando dal Regno Unito è sbarcata in Italia) presentato oggi a Milano presso l’UniCredit Tower Hall davanti a ricercatori, innovatori, operatori del sistema sanitario, associazioni di pazienti e attori del terzo settore. Nell’occasione sono anche state raccontate le storie personali dei protagonisti dei casi studio riportati nel documento, diversi esempi di co-progettazione ed esperienze dirette di policy maker che hanno già promosso la “Salute Collaborativa” sul proprio territorio.

Nesta Italia crede fermamente che l’approccio della Salute Collaborativa, testato per la prima volta nel Regno Unito dall’Health Lab di Nesta, sia di cruciale importanza per migliorare la salute e il benessere dei cittadini e far fronte ad alcune delle più rilevanti sfide del sistema sanitario e di welfare nazionale. È importante e doveroso precisare però che l’emergere della Salute Collaborativa non sostituisce il sistema socio-sanitario formale, né riduce le responsabilità delle istituzioni pubbliche preposte alla tutela della salute individuale e collettiva; al contrario, si pone in modo sinergico e complementare, mirando all’integrazione e alla trasformazione dei servizi esistenti, tramite l’introduzione di nuove pratiche e culture utili al suo rafforzamento”. Ha commentato Marco Zappalorto, Chief Executive, Nesta Italia.

“Da oltre 10 anni in LAMA ci occupiamo di studiare, sostenere e valutare progetti innovativi nel campo della salute. Questa attività, svolta in Italia, in Europa e nel mondo, ci ha dato l’opportunità di conoscere i nuovi approcci, osservare i trend in atto, e capire il ruolo cruciale che assume l’empowerment delle persone e delle comunità nella costruzione di soluzioni efficaci e sostenibili. Siamo molto felici che Nesta Italia si sia rivolta a LAMA per contribuire a questo report, nel quale oltre a mappare casi di innovazione, abbiamo curato in particolare le analisi di contesto e il framework concettuale. Questo progetto ci consente finalmente di condividere con altri partner una visione comune, che auspichiamo si diffonda anche agli stakeholder favorendo processi virtuosi di innovazione”. Elena Como, responsabile di ricerca e valutazione dell’Agenzia LAMA.

“A WeMake crediamo che le tecnologie digitali siano una vera opportunità per sostenere un sistema di cura aperto e sostenibile. Per fare questo abbiamo bisogno di un nuovo approccio alla ricerca e all’apprendimento che metta in relazione pazienti, caregiver, istituzioni e imprese e proprio  in questo contesto l’idea di open (aperto) assume un significato complesso. Un sistema e` infatti open sia quando attori differenti assumono un ruolo attivo e quando le informazioni e le conoscenze che lo costituiscono sono aperte, visibili, accessibili e soprattutto trasferibili in altri sistemi”. Zoe Romano – co-founder WeMake

UniCredit, da sempre attenta ai bisogni dei territori in cui opera, investe nell’innovazione come driver della trasformazione del modello di servizio, per renderlo sempre più focalizzato sul cliente e sui nuovi bisogni emergenti delle comunità. La finanza può, infatti, assumere diversi ruoli, mettendo a disposizione risorse non solo economiche, ma anche manageriali e relazionali allo stesso tempo, fungendo da catalizzatore di altre risorse e di altri stakeholder in qualità di attore abilitante nell’ecosistema. Sappiamo inoltre quanto sia importante co-progettare e collaborare con “chi sa fare”, con chi ha già maturato esperienza e, soprattutto, con chi condivide la stessa missione. Ecco perché affianchiamo Nesta Italia e il suo pionieristico “laboratorio collettivo”, per promuovere l’empowerment dell’individuo nella cura”. Conclude Laura Penna, Deputy Head of Social Impact Banking, UniCredit.

L’evoluzione dei bisogni e le criticità del sistema sanitario italiano

Il report si apre con l’analisi dell’ultimo rapporto dell’OCSE secondo cui l’Italia è attualmente il quarto Paese per aspettativa di vita alla nascita, dopo Giappone, Spagna e Svizzera: si vive in media fino a 82,6 anni, circa 10 anni in più rispetto all’aspettativa di vita degli anni ’70. Questo allungamento della vita, però, non si è concretamente tradotto in una migliore qualità della stessa. Ciò è da imputarsi in buona parte alla diffusione delle malattie croniche (tra cui malattie cardiovascolari, respiratorie, tumori, diabete) che colpiscono ad oggi circa il 39,1% della popolazione, e l’85,3% degli ultra 75enni (Fonte: ISTAT 2017) . Queste malattie, che spesso si sommano tra loro in situazioni di comorbilità, causano infatti grandi sofferenze e significative limitazioni all’autonomia. È stato calcolato che in Italia, un nuovo nato nel 2015 dovrà probabilmente convivere per gli ultimi 20 anni della sua vita con una salute incompleta e possibili limitazioni funzionali. Un dato che riguarda molti, se consideriamo che, ad oggi, oltre un quinto della popolazione supera i 65 anni.

Tutto ciò richiede una chiara evoluzione delle risposte da parte del sistema sanitario e sociale: le condizioni croniche, infatti, necessitano di una gestione diversa, di un’assistenza quotidiana e di una continua opera di prevenzione secondaria e terziaria che il sistema italiano – dotato di risorse limitate e storicamente più incentrato sulla cura e la gestione delle acuzie – si trova attualmente impreparato ad affrontare. Lo stato di “sovraccarico” del sistema è dimostrato anche dalle lunghe liste di attesa, che insieme a una richiesta crescente di compartecipazione alla spesa da parte delle famiglie, costituiscono una forte barriera di accesso ai servizi, costringendo molte persone a rivolgersi ai provider privati (con maggiori costi) oppure a rinunciare del tutto alle cure.

Ci troviamo quindi di fronte a importanti sfide che chiamano in causa la sostenibilità e l’appropriatezza del sistema sanitario e sociale, ma anche la sua equità. Stiamo infatti assistendo ad un forte aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche, che si traducono a loro volta in significative disuguaglianze nella salute e nell’accesso alle cure. Fattori come la povertà e il mancato accesso a risorse fondamentali (si pensi alla casa, il cibo di qualità, l’istruzione o le reti sociali) comportano per milioni di italiani una maggiore fragilità sociale e una maggiore esposizione al rischio di malattia, e creano importanti barriere di accesso ai servizi in caso di necessità. Nel 2017, circa 5 milioni di persone (poco meno di 1,8 milioni di famiglie) viveva in condizioni di povertà assoluta, un dato allarmante e in costante aumento rispetto agli anni precedenti. Forti disuguaglianze si riscontrano anche a livello geografico (soprattutto tra Nord e Sud), e rispetto a specifici gruppi – come ad esempio le minoranze etniche e i migranti, che per motivi economici, sociali e culturali incontrano maggiori barriere al mantenimento di un buono stato di salute.

Per far fronte a questa complessità di bisogni, alla crescente domanda di cura e alle difficoltà nel raggiungere tutti i cittadini con soluzioni appropriate e sostenibili sono emersi nuovi approcci sperimentali che utilizzano la tecnologia, metodi basati sull’utilizzo intelligente dei dati e iniziative promosse dalle comunità in grado di rendere le persone più consapevoli del proprio stato di salute e capaci di esercitare un maggiore controllo dei comportamenti che incidono sul proprio benessere.

L’obiettivo non è solo di migliorare il benessere delle persone e della collettività, ma anche di attivare processi collaborativi che rendano il sistema sanitario, composto da privati, policy maker, terzo settore e comunità, sempre più sostenibile, contribuendo concretamente ad un cambiamento paradigmatico dei servizi per la salute.

 

 

Il contributo dell’approccio innovativo della “Salute Collaborativa”

Con Salute Collaborativa Nesta Italia e i partner di progetto si riferiscono al concetto di “empowerment” (già definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il coinvolgimento attivo del paziente nelle “decisioni e azioni che riguardano la propria salute”), un processo innovativo radicale, in grado di trasformare il contesto sanitario dall’interno, grazie all’introduzione di nuovi strumenti e processi e alla modifica anche delle relazioni e delle responsabilità tra gli attori a vario titolo coinvolti. La Salute Collaborativa si distingue fortemente dalle altre innovazioni che, pur usando tecnologie, producendo dati o cambiando i modelli organizzativi, spesso lasciano le persone in un ruolo passivo o riformulano i servizi in ottica di pura riduzione dei costi. Il focus sulla persona e la comunità è l’elemento più importante di tutti, in quanto permette di centrare le reali opportunità delle trasformazioni in atto, e di non perdere l’occasione per costruire un sistema di salute più people-centred, sostenibile ed equo per tutta la società.

Nel report vengono esaminati tre possibili filoni di Salute Collaborativa, definiti in base al mix di diverse componenti innovative, da quella umana a quella co-creativa, dalla tecnologica alla organizzativa, all’informativa e di governance:

  • App & Device: filone che si focalizza sulla crescente importanza del ruolo delle tecnologie digital nel campo della salute. Sono un esempio i dispositivi indossabili (“wearable devices”), l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale, la realtà aumentata (applicata nel campo delle disabilità) e la domotica, che offrono oggi opportunità inedite per supportare le persone nella prevenzione, cura, e rapporto con il sistema sanitario. E poi le sempre più diffuse app per gli stili di vita che permettono ad esempio di monitorare gli stili di vita e le abitudini quotidiane in vari ambiti (tra cui alimentazione, esercizio fisico, ore di sonno, ecc.) e di migliorarli anche grazie all’aiuto di un coach virtuale. Infine, possiamo citare il ruolo delle piattaforme digitali nel mettere in rete tra loro le persone affette da problematiche simili. Tali piattaforme possono infatti abilitare moderne forme di mutuo-aiuto e solidarietà tra pari, ma sono anche usate per diffondere informazioni di base e connettere le persone con professionisti e servizi più strutturati. Quelle elencate sono solo alcune delle potenzialità delle tecnologie, che hanno mostrato negli ultimi anni un enorme potenziale trasformativo per la sanità.
  • People & Community: comprende le innovazioni sociali che valorizzano le competenze dell’individuo e la forza della comunità per promuovere la salute attraverso soluzioni inclusive, accessibili e abilitanti. Questo approccio dal basso, che coinvolge direttamente nei processi di prevenzione e cura la persona, la sua famiglia, i suoi pari, e la comunità in cui vive, vuole superare la visione del “paziente” come oggetto passivo di assistenza, restituendogli centralità e rendendolo un soggetto attivo della propria salute. Nelle soluzioni di questo filone, la persona è maggiormente informata, coinvolta, e le sue competenze sono valorizzate, così come è valorizzato il ruolo della comunità nell’offrire informazioni e supporto sotto varie forme.
  • Open Care: raccoglie quei progetti che favoriscono approcci e strumenti in grado di aprire processi di creazione e distribuzione di soluzioni dal basso nel settore della cura. Incorporano infatti i valori dell’openness, ovvero la condizione di accessibilità, cooperazione e trasparenza in cui un progetto si sviluppa e abilita un’appropriazione da parte di comunità di persone. L’etica dell’openness si esprime pienamente quando i processi che costituiscono un progetto includono tutti i soggetti coinvolti sin dalla fase di ideazione, così da cambiare drasticamente i rapporti di forza tra gli attori, supportando un dialogo continuo tra le parti e includendo nei processi decisionali tanto i pazienti quanto le persone a loro vicine; tanto gli operatori quanto i medici e le parti politiche. L’area Open Care propone un’alternativa inclusiva e accessibile alla mancanza di soluzioni personalizzate che possano favorire in particolare la qualità della vita di persone affette da disabilità, da malattie croniche o rare, specialmente per coloro che sono esclusi dalle soluzioni esistenti a causa di barriere economiche e sociali legate a genere, provenienza o classe sociale. L’approccio Open Care si sta rivelando inoltre particolarmente efficace per generare risposte incisive per portatori di bisogni di scarso interesse per i mercati (come per esempio, i malati di patologie rare) o troppo onerose per il settore pubblico nell’attuale congiuntura politico-organizzativa. Nell’ambito Open Care, la carenza di investimenti e risorse strutturali, che depotenzia alcune aree di ricerca e sviluppo, viene contrastata attraverso l’utilizzo di tecnologie di fabbricazione digitale e la produzione di open data.

 

Il progetto di ricerca di Nesta Italia, WeMake e LAMA non si propone solo di definire il nuovo concetto di Salute Collaborativa, ma anche di sostenerlo andando ad offrire esempi concreti di esperienze già presenti nel contesto italiano e formulare possibili raccomandazioni rivolte agli stakeholder per abbracciare questo nuovo approccio. Si intende così favorire l’innovazione del sistema e stimolare una maggiore sostenibilità, appropriatezza ed equità dei servizi e modelli di salute in Italia.