Nata nel 1869, la Società Oftalmologica Italiana (SOI) è l’associazione scientifica tra le più antiche e rappresentative d’Europa, punto di riferimento dei 7.000 medici oculisti nel nostro Paese. SOI non ha fini di lucro, è apolitica e apartitica e ispira la propria attività ai principi di libertà associativa e al metodo della democrazia e delle responsabilità.

 

Più progressi clinici, sempre meno risorse: la SOI di fronte ai paradossi della sanità italiana
Confermando una tendenza in atto ormai da qualche anno, le prospettive di cura in campo oftalmologico migliorano costantemente, grazie ai progressi dei materiali e delle tecnologie, soprattutto in ambito chirurgico. Ma la difficile situazione dei conti pubblici spesso impedisce ai medici di agire secondo coscienza e ai pazienti di accedere alle cure migliori
Questo il tema affrontato lo scorso 19 novembre al Circolo della Stampa di Milano durante l’incontro con la stampa, fortemente voluto dal Presidente SOI Matteo Piovella, al quale sono intervenuti Teresio Avitabile, Segretario SOI – Francesco Balndello, Presidente Euroretina – Carlo Enrico Traverso, Presidente Società Europea Glaucoma – Leonardo Mastropasqua, Direttore della Clinica Oftalmologica, Centro di Eccellenza in Oftalmologia, Università “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara – Roberto Bellucci, Presidente Società Europea di Chirurgia della Cataratta e Refrattiva. E inoltre, Massimo Bray, Direttore Generale Istituto dell’Enciclopedia Treccani – Lamberto Maffei e Carlo Ossola.

Elementi di riflessione e approfondimento proposti dagli illustri relatori nel corso delle interviste:

al Dott. Matteo Piovella, Presidente SOI

Dottor Piovella, il Congresso nazionale della SOI è l’occasione per scattare un’istantanea della situazione attuale dell’Oculistica italiana, sia dal punto di vista clinico sia da quello assistenziale. Iniziamo con la clinica: quali sono le novità più importanti?

L’oculistica è una branca medica ad alta specializzazione tecnologica: i miglioramenti in fatto di diagnosi e di terapia sono costanti e trainati per l’appunto dal progresso della tecnologia. Non si tratta quindi di cambiamenti eclatanti delle tecniche chirurgiche, ma di un affinamento incessante di quelle esistenti, che diventano via via più sicure ed efficaci. Prendiamo per esempio l’intervento di cataratta, che rappresenta oltre l’80 per cento degli interventi oculistici: quando ho iniziato a operare, alla fine degli anni Settanta, la percentuale di complicanze arrivava all’80 per cento, mentre ora sono ridotte al 3 per cento, una percentuale che riguarda casi che difficilmente è possibile prevedere o eliminare. Si tratta di un miglioramento che non ha confronti in nessun’altra specialità chirurgica. Lo stesso tipo di miglioramento continuo e incessante riguarda la chirurgia della retina e quella del glaucoma.

E sul fronte dell’assistenza?
Qui vengono le dolenti note per le molte difficoltà che si stanno presentando dal punto di vista non solo economico ma anche delle scelte politiche, che da anni come presidente della SOI cerco di meglio indirizzare. Ormai siamo al punto da non riuscire più a garantire le migliori cure possibili ai cittadini italiani.

Quali sono le maggiori criticità?
Consideriamo l’operazione di cataratta che, come ho detto, ha raggiunto un incredibile livello di sicurezza. Il problema è che attualmente la sanità pubblica non riesce a rimborsare i cristallini trifocali di ultima generazione, che riescono a correggere anche la presbiopia, evitando al paziente la necessità di utilizzare gli occhiali da lettura per vedere da vicino. Ciò significa che ai pazienti vengono impiantati quelli monofocali standard. Questo avviene, evidentemente, per i costi che le Regioni non possono sostenere: basti pensare che il rimborso per un intervento di cataratta è di 800 euro, mentre il costo del solo cristallino bifocale è di 800 euro. In altre parole, si sta arrestando l’applicazione della normale evoluzione dei materiali messi a disposizione dall’industria, materiali che fino a ora si sono succeduti nel tempo in modo naturale portando a notevoli miglioramenti della visione dei pazienti operati: i primi cristallini artificiali erano rigidi, poi è stata la volta di quelli pieghevoli, poi sono arrivati quelli asferici… ora ci sono quelli trifocali ma sembra che i cittadini italiani non se li possano permettere.

Ci stiamo privando non più del superfluo, ma del necessario, non è così?
Certo, in molti casi è così. Un’altra situazione paradossale riguarda i chirurghi che sempre più spesso operano senza l’assistenza dell’anestesista, che invece è obbligatoria. In definitiva il medico si trova sempre più spesso a non poter agire secondo coscienza e a non poter offrire la migliore cura possibile. Lo stesso si può dire dell’utilizzo del femtolaser nella chirurgia della cataratta, o degli stent per la cura del glaucoma, recentemente approvati dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti, e non rimborsabili in Italia. Dal nostro punto di vista, si tratta di una situazione inaccettabile.

Veniamo alle cure della degenerazione maculare e al caso Avastin-Lucentis, che lo scorso anno in questo periodo occupava le pagine dei giornali, anche per le dure proteste della SOI sulle decisioni politiche in materia: ci sono delle novità?
Dal punto di vista delle norme che hanno creato tanti problemi è rimasto tutto invariato; l’unica novità è che la Regione Lombardia ha pubblicato alcuni dati ufficiali secondo i quali, in media, i pazienti con maculopatia senile fanno tre iniezioni in un anno, invece delle sette previste per avere una risposta terapeutica ottimale: è la dimostrazione che l’attuale sistema di dispensazione del farmaco non funziona e che al contrario di numerosi proclami della politica oggi Avastin si utilizza molto meno rispetto un anno fa.

Possiamo scendere un po’ nel dettaglio, ricostruendo sinteticamente la vicenda?
Certamente. Come molti ricorderanno, nel marzo del 2014, l’Antitrust ha sanzionato le industrie farmaceutiche Roche e Novartis con l’accusa di essersi accordate affinché il farmaco anticancro Avastin (bevacizumab) non avesse l’indicazione al trattamento della degenerazione maculare, su cui è efficace, riservando l’uso oftalmologico alla molecola analoga e ben più cara Lucentis (ranibizumab), anche se i due farmaci, secondo diversi studi, sono equivalenti. Nel maggio dello stesso anno, il Consiglio Superiore di Sanità ha quindi chiesto all’Agenzia italiana per il farmaco, l’AIFA, d’inserire Avastin tra i farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale per l’uso oftalmologico. Il risultato è che l’AIFA ha accolto la richiesta, ma restringendo incomprensibilmente la rimborsabilità alla degenerazione maculare senile, che è solo una – e neppure la più diffusa – delle tante maculopatie. Inoltre, ha previsto una serie di norme, considerate “condizioni indispensabili a tutela della salute dei pazienti”, secondo cui la somministrazione di bevacizumab per uso intravitreale è stata riservata a “centri oculistici ad alta specializzazione presso ospedali pubblici individuati dalle Regioni”, e il confezionamento del farmaco è delegato alle rispettive farmacie ospedaliere. Il risultato è che su 7000 medici oculisti italiani sono solo 100 quelli che sono nelle condizioni di prescrivere bevacizumab ai pazienti con maculopatie, e i numeri della Regione Lombardia dimostrano che con queste norme l’obiettivo terapeutico non è neppure lontanamente raggiunto. E mi preme sottolineare che non si tratta di un numero esiguo di pazienti: oltre i 75 anni, le maculopatie colpiscono una persona su tre, al punto che il problema, perfettamente gestibile se solo le norme prescrittive fossero allineate con quelle di altri paesi sviluppati, è diventato un’emergenza.

Chiudiamo con una nota – letteralmente – di colore: che cosa ci può dire dell’ultima novità in fatto di chirurgia estetica: il cambiamento del colore degli occhi da castano ad azzurro?
È un intervento in fase di sperimentazione negli Stati Uniti: utilizzando un fascio laser, sulla superfice delle cellule pigmentate dell’iride, che sono quelle responsabili del colore scuro dell’occhio, si creano minime alterazioni che vengono riconosciute come particelle estranee e digerite da specifiche cellule del sistema immunitario, i macrofagi. In pochi secondi di trattamento vengono create le condizioni per eliminare il pigmento scuro e si ottengono gli occhi chiari. Se saranno confermati i risultati in termini di efficacia e sicurezza, per gli oculisti si apre un piccolo spazio nell’ambito della chirurgia estetica.

Cataratta, un intervento sempre più efficace e sicuro per il recupero delle capacità visive
La chirurgia della cataratta è sempre più richiesta nel nostro Paese e si effettua sempre più spesso nella fascia di età tra 60 e 70 anni: è un’operazione che garantisce risultati eccellenti sia in termini di sicurezza, con una limitatissima incidenza di complicanze, sia di riabilitazione visiva, grazie alla possibilità d’impiantare cristallini artificiali a ottica complessa per correggere sia i difetti della visione preesistenti, come miopia, astigmatismo e ipermetropia, sia la difficoltà di visione per vicino, la presbiopia

Intervista al Dott. Roberto Bellucci, Presidente ECRSS

Dott. Bellucci, iniziamo coll’inquadrare la chirurgia della cataratta in termini epidemiologici. Quanti interventi si fanno ogni anno?
Premesso che cataratta è il nome che diamo alla lente naturale dell’occhio, il cristallino, quando diviene opaco, è vero che l’intervento di cataratta è sempre più richiesto: nel nostro Paese, se ne eseguono quasi 600mila all’anno: ciò significa che ogni anno si opera una persona su 100. Sono numeri elevati, ma ancora inferiori a quelli di altri Paesi, come Stati Uniti o Australia, ove si tende a operare più precocemente, quando l’opacizzazione del cristallino non è ancora completa.

Quali sono i motivi di questo incremento di richieste?
Attualmente, l’intervento di cataratta offre un risultato eccellente in termini di riabilitazione visiva, permettendo spesso la visione senza occhiali nel postoperatorio. Inoltre consente di correggere difetti di vista preesistenti, rendendo i pazienti meno dipendenti dagli occhiali. È agevole per i pazienti perché eseguito con anestesia in collirio senza iniezioni, e ha percentuali di riuscita assai elevate. La diffusione dell’intervento ha portato a un abbassamento dell’età media dei pazienti operati: 30 anni fa, il paziente tipico aveva tra gli 80 e i 90 anni, mentre oggi è tra i 60 e i 70 anni: si tratta di persone in età spesso da pensione, ma che ancora rivendicano un ruolo attivo nella società e vogliono essere al meglio dal punto di vista fisico, anche migliorando le proprie capacità visive.

Come si svolge l’intervento di cataratta?
L’intervento standard che è quello attualmente garantito dal Sistema sanitario nazionale, prevede – come ho detto – un’anestesia in gocce, poi un’incisione di circa tre millimetri sulla parete dell’occhio, e poi la frantumazione del cristallino catarattoso che – vale la pena di ricordare – ha diametro di 9 millimetri e spessore di 4 circa, mediante un apparecchio a ultrasuoni chiamato facoemulsificatore. Una volta rimossa la cataratta e aspirate le masserelle residue per la completa pulizia, viene inserito nell’occhio un cristallino artificiale sostitutivo, trasparente e inalterabile nel tempo. Agendo sul potere diottrico di questo cristallino artificiale è poi possibile correggere difetti visivi preesistenti.

C’è poi un intervento di cataratta ad alta tecnologia: in che cosa consiste?
Per la parte chirurgica, cioè di rimozione del cristallino catarattoso, l’alta tecnologia riguarda l’impiego dei laser; il recente laser a femtosecondi, disponibile dal 2010, consente un notevole progresso nell’intervento di cataratta, poiché aggiunge precisione e delicatezza: l’apertura circolare della capsula della cataratta, che nell’intervento convenzionale il chirurgo effettua a mano, viene eseguita dal laser in modo perfetto. Il laser poi frantuma la cataratta mediante energia luminosa invisibile, e infine prepara con grande accuratezza le piccole incisioni sulla parete dell’occhio, la cornea, attraverso le quali il chirurgo rimuoverà il materiale frantumato e inserirà il cristallino artificiale. Anche se si tratta di un apparecchio molto costoso, ancora poco diffuso, possiamo dire che con il laser a femtosecondi la robotica ha fatto il suo ingresso nel campo della chirurgia oculare.

E per quanto riguarda i cristallini di nuova generazione?
L’alta tecnologia riguarda certamente anche i cristallini artificiali a ottica complessa, nati con l’obiettivo di correggere difetti visivi fastidiosi come l’astigmatismo e presbiopia. Dopo l’intervento di cataratta convenzionale il paziente astigmatico ha ancora bisogno di lenti correttive, mentre ora esistono cristallini artificiali che consentono di correggere questo difetto visivo, liberando quindi il paziente operato dalla necessità d’indossare sempre gli occhiali. Un problema diverso è quello della visione per vicino, possibile di regola solo con gli occhiali per chi riceve un cristallino artificiale standard. L’alta tecnologia ci propone oggi cristallini multifocali, che consentono di vedere lontano e vicino senza occhiali nella gran parte dei casi. Purtroppo sono poco impiegati principalmente per problemi di costo.

Che cosa possiamo dire sulla sicurezza dell’intervento di cataratta?
La sicurezza è molto elevata, e supera il 99 per cento: ricordo che uno dei problemi più gravi, l’infezione postoperatoria, è stato quasi del tutto eliminato dalle recenti procedure di sterilità e di disinfezione. La Società europea di Chirurgia refrattiva e Cataratta (ESCRS), di cui mi onoro di essere il presidente, ha condotto uno studio europeo multicentrico[1] che ha dimostrato come una profilassi preoperatoria e intraoperatoria adeguata con disinfettanti e antibiotici permetta di ridurre le complicanze infettive a un caso ogni 12mila operazioni. Ma la ricerca va avanti ancora: nell’ambito di uno studio ancora in corso, denominato PreMed, l’ESCRS si sta studiando il modo di evitare le infiammazioni postoperatorie, che possono in rari casi portare a riduzioni, per quanto temporanee, della capacità visiva.

Quindi riassumendo, quello della chirurgia della cataratta è un ambito in continua evoluzione?
È proprio così: si tratta di un intervento per nulla semplice, ma reso rapido dalla evoluzione tecnologica. La chirurgia della cataratta ha raggiunto un livello standard di accuratezza e di sicurezza elevatissimo, garantito in tutti gli ospedali pubblici e privati del nostro Paese. Quando è possibile applicarla, l’alta tecnologia permette di ridurre al minimo la dipendenza dagli occhiali dei pazienti operati. Con essa possiamo dire che i risultati in termini di efficacia e di sicurezza sono oggi migliori di quelli di soli cinque anni fa. Ulteriori evoluzioni sono attese per i prossimi anni, anche se difficilmente il livello attuale migliorerà in maniera sensibile

La chirurgia della cataratta verso la tecnica all laser
L’intervento di cataratta, già estremamente efficace e sicuro con le tecniche convenzionali, ha subito un ulteriore miglioramento grazie all’uso combinato del sistema nanolaser e femtolaser nella tecnica all laser per la frammentazione del cristallino, che può sostituire la facoemulsificazione a ultrasuoni, con minore dispersione di energia e maggiore rispetto delle strutture interne dell’occhio

Intervista al Dott. Leonardo Mastropasqua, Presidente Nazionale della Società Oftalmologi Universitari (SOU)

L’intervento della cataratta è orma collaudatissimo e di grande efficacia: quali vantaggi apporta la nuova tecnologia del laser a nanosecondi?
Questa nuova tecnologia può sostituire la tecnica di facoemulsificazione nella chirurgia convenzionale e può essere utilizzata come completamento della chirurgia della cataratta con femtolaser. I vantaggi sono numerosi: la durata dell’impulso laser molto breve e l’energia dell’impulso molto bassa si traducono in una minor produzione di calore a livello dei tessuti oculari. La minor quantità di energia liberata all’interno dell’occhio determina soprattutto minori danni a livello della cornea e minor infiammazione della retina. Inoltre, la punta arrotondata del sistema nanolaser, a differenza della punta tagliente del sistema tradizionale a ultrasuoni, riduce notevolmente il rischio di danni all’interno dell’occhio durante la chirurgia e il manipolo monouso del sistema laser diminuisce il rischio di infezioni oculari.

Può riassumere brevemente in che cosa consiste questa tecnica e in che cosa differisce da quella convenzionale?
Il Laser a nanosecondi è una fonte di energia con una lunghezza d’onda nel vicino infrarosso (1064 nanometri), una durata dell’impulso molto breve (4-5 nanosecondi) e un valore di energia molto basso. La punta del manipolo del sistema nanolaser è arrotondata per ridurre il trauma meccanico a livello dei tessuti; la frammentazione del cristallino avviene tramite un processo di fotodistruzione. La tecnica nanolaser utilizza la sorgente laser per la frammentazione del cristallino, a differenza della tecnica di facoemulsificazione in cui il cristallino viene frammentato con gli ultrasuoni. Gli step chirurgici che precedono e seguono la frammentazione della lente non differiscono tra le due tecniche. Nella tecnica all laser, ossia nella combinazione femtolaser e nanolaser, il laser a femtosecondi viene utilizzato per effettuare i tagli sulla cornea e a livello del cristallino con estrema precisione e il nanolaser sostituisce gli ultrasuoni nel completamento della frammentazione del cristallino.

Esiste già una casistica consolidata?
A livello internazionale esistono casistiche di pazienti trattati con laser a nanosecondi per la chirurgia della cataratta che hanno dimostrato sicurezza ed efficacia del sistema nanolaser, grazie a una minore dispersione di energia e quindi a una minore infiammazione all’interno dell’occhio rispetto alla facoemulsificazione tradizionale, che garantiscono un basso tasso di complicanze intraoperatorie. La combinazione del nanolaser e del femtolaser, utilizzata in alcuni centri non italiani, ottimizza ulteriormente i risultati con rapido recupero visivo del paziente: in questa procedura all laser si associano i vantaggi delle due tecniche, con il risultato di un miglioramento della visione, legato alla precisione delle incisioni effettuate con il femtolaser, e di una riduzione del danno termico oculare ottenuto con l’azzeramento degli ultrasuoni.

Quando e dove sarà disponibile per i pazienti italiani?
Questa nuova metodica è già in dotazione del Centro Nazionale di chirurgia robotica dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e i pazienti, qualora idonei al trattamento, possono sottoporsi alla chirurgia della cataratta con tecnica combinata all laser in alternativa al trattamento classico. Quali tipologie di pazienti ne possono usufruire? La tecnica all laser può essere utilizzata in tutti i tipi di cataratte e in particolare nei casi complicati: cataratte post traumatiche, cataratte in cristallini sublussati, cioè dislocati rispetto alla loro normale posizione all’interno dell’occhio, e infine cataratte polari, la cui estrazione comporta un elevato rischio di complicanze intraoperatorie. L’uso delle due sorgenti laser consente di ridurre al minimo sia le sollecitazioni all’interno dell’occhio sia la produzione di calore, che normalmente sono associate alla tecnica manuale. Inoltre, grazie alla ridotta produzione di energia all’interno dell’occhio, la tecnica all laser è particolarmente indicata nei pazienti a rischio di scompenso della cornea, ossia nei pazienti affetti da deficit di cellule corneali endoteliali. Queste cellule, poste nella parte più interna della cornea, sono responsabili della sua trasparenza e sono particolarmente sensibili: l’energia termica che può causarne la disfunzione e la morte nelle settimane successive all’intervento.

Quali risultati saranno presentati al congresso SOI su questo tema?
Al congresso SOI verranno presentati i primi risultati italiani ottenuti con la tecnica combinata nanolaser e femtolaser. Nella nostra casistica, la chirurgia combinata all laser ha dimostrato migliori risultati, correlati alla ridotta produzione di calore ottenuta con le due sorgenti laser, rispetto alla chirurgia tradizionale a ultrasuoni, in termini sia di performance visiva legata alla precisione dei tagli effettuati con il femtolaser, sia di danno oculare, soprattutto corneale. Inoltre la chirurgia all laser ha consentito di effettuare interventi in cataratte complicate con la massima sicurezza in assenza di complicanze intraoperatorie.

Diagnosi e terapie ai massimi livelli: un momento d’oro per la retina medica
La disponibilità della tomografia ottica computerizzata e delle terapie intravitreali con anti-VEGF hanno fatto crollare negli ultimi anni i casi di cecità da retinopatie, e ancora nuovi progressi sono attesi dai nuovi farmaci. Molto si può fare anche sul piano della prevenzione, con lenti protettive anti-UV, alimentazione sana e soprattutto eliminando il fumo di sigaretta

Intervista al Prof. Francesco Bandello, Presidente Euroretina

Prof. Bandello, qual è la situazione attuale della retina medica?
Quella attuale è una stagione felice, perché si sono rese disponibili, quasi simultaneamente, nuove tecniche di diagnosi estremamente precise e terapie molto efficaci e sicure. È un po’ la stessa situazione vissuta negli anni Settanta con l’avvento della fluorangiografia, un enorme passo in avanti nella diagnostica per immagini della retina, che permise d’interpretare molti dati fino ad allora incomprensibili, e del laser, che permetteva di trattare le retinopatie. Per molto tempo la situazione è rimasta sostanzialmente stabile, fino a 10 anni fa circa, quando si è resa disponibile la tomografia ottica computerizzata (OCT) e contemporaneamente sono state introdotte le terapie intravitreali con somministrazione di anti-VEGF.

Può spiegare in entrambi i casi di che cosa si tratta?
L’OCT è una metodica di diagnosi che definirei entusiasmante e che produce immagini assimilabili ad una sorta di istologia della retina in vivo, senza somministrazione di colorante e senza la necessità di dilatare la pupilla; gli anti-VEGF sono una classe di molecole, scoperte dal grande scienziato italiano Napoleone Ferrara, che bloccano il fattore di crescita endoteliale vascolare, inibendo così lo sviluppo di vasi sanguigni patologici al di sotto della retina. Con l’OCT e le terapie intravitreali, la prognosi delle malattie retiniche è completamente cambiata: le statistiche sono molto eloquenti in merito, e mostrano come il numero di casi di cecità da degenerazione maculare negli ultimi anni siano crollati. E per il futuro sono attese nuove molecole che potranno migliorare ulteriormente la situazione.

Dal punto di vista dell’assistenza nel campo delle malattie retiniche però recentemente ci sono state delle difficoltà…
Certo. Ma senza scendere nella polemica, voglio dire che il nostro compito come oftalmologi italiani è quello di convincere i decisori politici dell’importanza di questo settore dell’oculistica e dei grandi risultati che sono stati ottenuti, affinché mettano a disposizione le risorse adeguate a curare al meglio i nostri malati; e mi riferisco non solo alle risorse economiche, ma anche al personale, agli spazi e a tutto ciò che consente di lavorare in moto ottimale.

Quali sono le misure di prevenzione più importanti per le malattie della retina?
La prima misura preventiva è quella di utilizzare fin dall’infanzia occhiali da sole con un’adeguata protezione dai raggi ultravioletti: fortunatamente è una cultura che si sta diffondendo, e in estate si vedono molte mamme che fanno indossare gli occhiali da sole ai propri figli, mentre le passate generazioni questa consapevolezza non la avevano. Anche curare l’alimentazione è molto importante: occorre ridurre i grassi di origine animale in favore dell’olio di oliva, avere un adeguato introito di omega-3, che sono già molto pubblicizzati per i loro positivi effetti sulla salute cardiovascolare, e infine aumentare il consumo di verdura a foglia larga verde e assumere eventuali integratori quando siano presenti fattori predisponenti. Fondamentale è anche evitare il fumo di di sigaretta, che in tutti gli studi epidemiologici condotti ha dimostrato un ruolo importante nella determinazione dello stato di malattia. Nel caso della retinopatia diabetica, il buon controllo del diabete consente di ritardare le complicanze e/o ridurne la gravità.

E per quanto riguarda le visite oculistiche, quando farle e con che frequenza?
La prima visita è consigliata prima possibile dopo la nascita. Un secondo appuntamento dall’oculista è sicuramente utile prima dell’età scolare, in modo da individuare precocemente eventuali problemi, che non si siano manifestati con sintomi apprezzabili; altri momenti della vita in cui è utile prevedere l’esecuzione di una visita oculistica sono i 40 anni, che in genere coincidono con la comparsa dei primi sintomi riconducibili alla presbiopia e, da ultimo in età più avanzata, quando aumenta il rischio di presentare lesioni dovuta ad una patologica senescenza tissutale.

Glaucoma, più attenzione per le categorie a rischio e nuovi interventi chirurgici scongiurano il rischio cecità
Il glaucoma è una malattia progressiva del nervo ottico che colpisce circa il 2 per cento della popolazione generale, con un aumento di prevalenza nei pazienti anziani, e nei paesi sviluppati rappresenta una delle principali cause di perdita irreversibile della vista. Sebbene il trattamento farmacologico, laser e chirurgico abbiano compiuto significativi progressi, il principale fattore che permette di difendersi dalla cecità per glaucoma è giungere a una diagnosi non eccessivamente tardiva, indirizzando quindi le attenzioni alle categorie più a rischio: la popolazione anziana e i familiari di primo grado di soggetti in cui la malattia è già stata diagnosticata.

Intervista al prof. Carlo Enrico Traverso, Presidente Società Europea Glaucoma

Professor Traverso, tra le patologie oculistiche il glaucoma è forse una delle meno conosciute. Come possiamo inquadrarla?
Il dato fondamentale che tutti dovrebbero avere presente è che il glaucoma è una malattia progressiva del nervo ottico che, se lasciata a se stessa porta a cecità. E non si tratta di un rischio di poco conto: basti pensare che nel mondo industrializzato è una delle prime tre cause di cecità irreversibile. L’altro dato da tenere presente è che il danno al nervo ottico è quasi sempre collegato a una pressione oculare superiore a quella che l’occhio del soggetto colpito possa sopportare. Ne consegue che la terapia è quasi esclusivamente diretta a normalizzare la pressione oculare. Volendo scendere lievemente più in dettaglio, possiamo dire che si distinguono una forma di glaucoma detta “ad angolo aperto”, che è anche la più comune, e una forma “ad angolo chiuso”. Nella prima, l’elevata pressione oculare logora a lungo andare il nervo ottico, portando a una compromissione graduale del campo visivo; nella seconda forma la chiusura dell’angolo della camera anteriore dell’occhio può determinare un improvviso incremento della pressione intraoculare, che raggiunge talvolta rapidamente valori elevatissimi, come nel caso di un attacco di glaucoma acuto.

Quindi anche segni e sintomi sono completamente diversi nei due casi?
Nel caso del glaucoma ad angolo aperto, uno dei problemi è proprio che la malattia resta asintomatica e mostra i suoi segni quando il danno al nervo ottico è già in una fase piuttosto avanzata: la perdita del campo visivo inizia difatti dalla periferia e non riguarda la visione centrale se non negli stadi molto tardivi; per questo il paziente solitamente non se ne accorge finché il danno non è grave. Nel caso del glaucoma ad angolo chiuso, che comporta una sofferenza notevole di tutte le strutture oculari, i sintomi sono spesso piuttosto evidenti, per esempio l’arrossamento dell’occhio colpito o l’appannamento improvviso della vista.

Recentemente, si è parlato molto dei nuovi interventi chirurgici per il trattamento del glaucoma. Che cosa ci può dire in proposito?
Negli ultimi 6-7 anni sono stati proposti interventi meno invasivi molto interessanti e promettenti, ma nel dare un giudizio complessivo bisogna essere a mio avviso molto prudenti, perché non sono ancora disponibili per tutte queste tecnologie dati esaurienti sulla loro efficacia e sicurezza a lungo termine. Resta il fatto che il progresso tecnologico è stato e rimarrà un fattore determinante per migliorare l’efficacia delle terapie, come del resto è evidente anche in altri campi della chirurgica oculare.

Quali sono stati i progressi più evidenti degli ultimi anni?
Certamente la ricerca scientifica ha portato all’introduzione di nuovi farmaci, e nuove terapia sia laser che chirurgiche. Un passo avanti molto significativo e menzionato di rado riguarda la possibilità attuale di operare di cataratta pazienti glaucomatosi anche molto complessi, con risultati ottimi e con un notevole margine di sicurezza, purché l’intervento sia effettuato da un chirurgo esperto. Inoltre in casi ben selezionati di glaucoma ad angolo chiuso l’intervento di cataratta è un atto terapeutico: la sostituzione del cristallino naturale con quello artificiale, molto più sottile, riesce a a migliorare l’idrodinamica oculare e a far diminuire la pressione oculare. Quindi la difficoltà intrinseca dell’intervento di cataratta, che anni fa i pazienti con glaucoma dovevano affrontare, è oggi efficacemente combattuta sia dall’adozione di tecnologie vieppù affidabili che dal notevole miglioramento dell’addestramento chirurgico degli oculisti. Anche nel trattamento medico i progressi sono stati significativi, grazie allo sviluppo di farmaci in collirio sempre più efficaci nel controllo della pressione oculare e pressoché privi di effetti sistemici avversi.

Sul fronte della prevenzione, invece come è possibile intervenire? Come si può aumentare la consapevolezza del grande pubblico sui rischi del glaucoma?
Bisogna innanzitutto sensibilizzare il largo pubblico sull’opportunità, una volta arrivati ai 50 anni di età e poi con una frequenza di 2-3 anni, di sottoporsi a una vista oculistica, che consente di valutare non solo il rischio di glaucoma ma anche di altre malattie degenerative che colpiscono l’occhio: degenerazione maculare, retinopatia diabetica e cataratta. Un altro gruppo di soggetti a cui è caldamente consigliato di farsi controllare dallo specialista è costituito dai parenti, soprattutto sedi primo grado, di un caso di glaucoma già diagnosticato, che hanno un rischio d’insorgenza della malattia 10 volte superiore a quello della popolazione generale.

In conclusione, quale messaggio possiamo lanciare?
Dobbiamo ribadire che il glaucoma è una malattia progressiva e invalidante, che può però essere arrestata se gestita in modo appropriato. Oltre agli interventi terapeutici accennati, è importante riuscire a individuare prima che i danni raggiungano una fase avanzata i soggetti affetti, prestando attenzione soprattutto ai gruppi con maggior rischio: gli anziani, fra l’altro anche per diagnosticare tutte le altre malattie oculari e i soggetti che hanno una familiarità positiva per il glaucoma.

Responsabilità medica, la luce in fondo al tunnel
Medicina difensiva, premi assicurativi esorbitanti, calo delle iscrizioni alle specialità chirurgiche: sono questi gli enormi fardelli dell’assistenza sanitaria italiana causati dalla crescita esponenziale dei contenziosi tra medici e pazienti, che finiscono raramente con un risarcimento. Nuove norme di legge, uscite dalla commissione consultiva appositamente creata dal ministero della Salute, dovrebbero consentire di riequilibrare la situazione

Intervista al Prof. Teresio Avitabile, Segretario SOI

Professor Avitabile, come possiamo delineare in modo sintetico l’attuale la situazione italiana in tema di responsabilità medica e di contenziosi tra medici e pazienti, una materia di cui lei si occupa da molti anni?
Dunque, alla base c’è chiaramente il legittimo diritto dei cittadini di chiedere un risarcimento per un danno subito in occasione di un atto medico, quando vi siano negligenze o colpa da parte del medico o della struttura; ma il problema è che negli ultimi 10-20 anni si è assistito a un notevole incremento delle cause intentate dai pazienti contro i medici. Questo pericoloso fenomeno ha diverse cause: da una parte, nella popolazione generale c’è una sempre maggiore aspettativa, alimentata dai progressi della Medicina, di vedere risolti i propri problemi di salute, dall’altra, le cause legali per risarcimento sono diventate un business, sulla falsariga di ciò che avviene da decenni nei paesi anglosassoni, grazie alla spinta di figure professionali che hanno interesse ad alimentare il fenomeno.

A fronte di questo enorme aumento delle richieste, le cause che si concludono con un risarcimento rimane esigua, non è così?
Sì certo, solo in pochissimi casi il giudice condanna il medico, anche se è difficile dare una stima precisa in termini di percentuali.

Le conseguenze negative in termini di costi economici e sociali sono invece molto evidenti…
Certo. La più evidente è quella della cosiddetta “medicina difensiva”: l’eccessivo numero di contenziosi induce i medici a tutelarsi dal rischio di errore prescrivendo esami non strettamente necessari, determinando un’enorme lievitazione dei costi; si calcola che finiscano in medicina difensiva circa 15 miliardi all’anno, pari al 2 per cento del prodotto interno lordo. Per non parlare delle liste di attesa per esami come la risonanza magnetica o la TAC, che si allungano a dismisura, danneggiando chi ne ha realmente bisogno.

E in campo chirurgico?
Le do un dato, fornito recentemente dalla Società Italiana di Chirurgia: per evitare il rischio di complicanze o di fallimento, una parte dei chirurghi, che può arrivare al 25 per cento, evita di operare i pazienti più problematici, come invece avrebbe fatto in passato o come farebbe senza questa spada di Damocle delle cause legali. Il fenomeno poi non può che contaminare le scuole di specialità dove si è fortemente ridotta la possibilità per i giovani chirurghi di apprendere in condizioni di relativa tranquillità, e gli stessi corsi di laurea in Medicina, al termine dei quali sono pochi i giovani che si sentono di affrontare specialità chirurgiche o specialità ad altissimo rischio di contenziosi, come nel caso di Ginecologia.

Sul fronte legislativo tuttavia, qualcosa si è mosso per riequilibrare in parte la situazione, anche grazie all’impegno della SOI per sensibilizzare la classe politica sul problema. Quali provvedimenti giudica i più significativi?
Un primo passo importante è stato l’introduzione, da parte della legge Balduzzi di alcuni anni fa, dell’obbligo per il giudice di avvalersi della consulenza non solo di un medico legale, ma anche di uno specialista della branca medica di pertinenza per il contenzioso: si tratta di un forte elemento di garanzia per noi medici perché la competenza dei consulenti nel merito della questione è fondamentale. Ci sono poi le proposte della Commissione consultiva sulle problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, presieduta da Guido Alpa, che ha concluso i lavori il 30 luglio; queste proposte si possono suddividere sostanzialmente in tre capitoli: Responsabilità civile del medico, Responsabilità penale e l’Assicurazione e rischio clinico.

Può illustrare più nel dettaglio le proposte di questi tre capitoli, e spiegare quale impatto possono possono avere per risolvere o mitigare il problema dei contenziosi?
La responsabilità in diritto civile si divide in extracontrattuale e contrattuale. La prima si prescrive in cinque anni e l’onere della prova è a carico del paziente, la seconda si prescrive in 10 anni e l’onere della prova è a carico del medico. Attualmente in virtù di una sentenza della Cassazione la responsabilità civile è attualmente per tutti i medici contrattuale. Con la nuova proposta di legge, la Commissione ministeriale propone di distinguere tra medico dipendente di una struttura sanitaria e medico libero professionista. Per il medico dipendente di una struttura sanitaria (ospedale o casa di cura, pubblica o privata) e per quello convenzionato la responsabilità professionale sarà di natura extracontrattuale, mentre per il medico libero professionista sarà di natura contrattuale. Quindi per i medici dipendenti e convenzionati l’azione risarcitoria si prescriverà pertanto in 5 anni (non in 10) e l’onere della prova della colpa graverà sul paziente. Nell’ambito della responsabilità penale del medico, la commissione propone in primis una fattispecie autonoma di lesioni e omicidio colposo per i professionisti sanitari, che risponderebbero penalmente solo per colpa grave e dolo.

E per quanto riguarda assicurazione e rischio clinico?
A livello assicurativo, la Commissione propone di rafforzare il sistema che prevede l’obbligatorietà dell’assicurazione delle strutture ospedaliere pubbliche, delle strutture sanitarie private e degli operatori sanitari. Inoltre viene proposta l’introduzione nell’ambito dei giudizi di risarcimento del danno derivante da malpractice, la previsione di un accertamento tecnico preventivo e di una conciliazione preventiva obbligatoria. In sintesi, il paziente che intenda fare causa a un medico dovrà obbligatoriamente attivare un procedimento in contraddittorio per l’espletamento di una perizia e soltanto all’esito di tale procedimento , e se la perizia sancirà la colpa del medico, potrà proporre azione risarcitoria. Per quanto riguarda la gestione del rischio clinico, nella nuova proposta di legge sono previsti l’istituzione dell’Ufficio Regionale del Garante alla Salute e l’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza in Sanità. Il ruolo del Garante dovrebbe essere quello di difensore civico in ambito sanitario e può essere adito gratuitamente da ciascun soggetto detentore di prestazione sanitaria per la segnalazione di disfunzioni del sistema. Egli acquisisce gli atti relativi alla segnalazione ed agisce a tutela del diritto leso. L’Osservatorio Nazionale assume le funzioni di monitoraggio degli errori in sanità.

Si tratta di un insieme di norme soddisfacenti dal vostro punto di vista?
Permangono delle criticità che elenco brevemente: in primo luogo, non è vero che il medico è sempre indenne e che tutto è a carico della Struttura, perché all’art. 7 comma 5 è previsto che in caso di danno derivante da colpa diretta dal sanitario la struttura esercita azione di rivalsa ovviamente a decidere se è colpa diretta del sanitario sarà il consulente tecnico d’ufficio (CTU) che purtroppo alcune volte non è illuminato; l’articolo 10, che regolamenta la nomina dei CTU, non prevede in modo chiaro, come era previsto nella Balduzzi e come è previsto all’art. 62 del nostro codice deontologico, che del collegio faccia parte uno Specialista della branca con specifiche e pratiche, tengo a sottolineare pratiche, competenze dell’oggetto del contendere.
La scelta non oculata dei periti che sono il cardine delle cause per colpa medica ha prodotto a oggi il fenomeno del ‘’Dilettantismo in medicina legale’’, ovvero di una Medicina legale d’improvvisazione, per usare un’espressione del Prof. Riccardo Zoia, Professore Ordinario di Medicina legale presso l’Università di Milano. Quindi, a mio avviso, se non si apporteranno opportuni correttivi a questa legge, si fallirà ancora una volta nel tentativo di arginare la voragine della medicina difensiva. Infatti il medico continuerà a fare uso e abuso della medicina difensiva, finché non si sentirà realmente sicuro che la responsabilità medica cada sull’azienda e che quest’ultima non si rivalga su di lui, e finché non sarà giudicato da periti oculati e competenti. La SOI sta cercando di far proporre e approvare opportuni emendamenti.