L’Associazione Medici Diabetologi ha messo a confronto i dati dei due Paesi e ha sottoposto all’attenzione del Ministro Lorenzin le significative differenze emerse. Nicoletta Musacchio, Presidente AMD: “Una nuova conferma del valore e dell’efficacia della rete diabetologica italiana”.
Per il trattamento delle donne con diabete di tipo 2 (DT2) – generalmente sottotrattate anche dai sistemi sanitari più avanzati – l’Italia fa meglio degli Stati Uniti. Esaminando le terapie garantite nel nostro Paese alle pazienti con diabete tipo 2, infatti, non emerge un trattamento inferiore rispetto a quello assicurato agli uomini. Il dato, significativo di per sé, acquisisce ulteriore importanza alla luce del contesto internazionale. Secondo un recente Statement dell’American Heart Association sulle differenze di genere nelle complicanze cardiovascolari del diabete tipo 2, le donne americane risultano decisamente sottotrattate. Il dato è stato portato da AMD all’attenzione del Ministro Lorenzin in occasione della 1° giornata dedicata alla Salute della Donna in cui è stato presentato il Quaderno del Ministero della Salute sulla Medicina di Genere.
“L’analisi sulle differenze di genere nel rischio cardiovascolare del diabete tipo 2 fatta dallo Statement dell’AHA, ha messo in evidenza come le donne con DT2 abbiano un rischio cardiovascolare maggiore rispetto ai maschi di pari età”, illustra Valeria Manicardi, del Gruppo Donna AMD. “L’aumentato rischio concerne sia la possibilità di ammalarsi sia quella di morire di eventi cardiovascolari, e questo è dovuto a cause multifattoriali, ma in gran parte al sottotrattamento sistematico che subiscono le pazienti: meno trattate con tutti i farmaci che si utilizzano per contrastare i fattori di rischio cardiovascolare, quali statine, ASA, β-Bloccanti, ACE-Inibitori, antiipertensivi, antiaggreganti, ma anche meno trattate con angioplastica coronarica quando colpite da infarto miocardico. Dai nostri dati su oltre 415.000 pazienti italiani con Diabete T2, raccolti da oltre 250 servizi di Diabetologia del SSN, – prosegue Manicardi – emerge invece una situazione differente. Per quanto riguarda il compenso metabolico, le donne sono più spesso sottoposte ai trattamenti più intensivi, l’impiego di statine è sovrapponibile a quello praticato negli uomini, il controllo pressorio è identico tra maschi e femmine, ma le donne sono più spesso trattate con due o più farmaci per l’ipertensione, quindi non si conferma il minor uso di ACE-Inibitori, β-Bloccanti e altri antiipertensivi”.
Dati rassicuranti che tuttavia, come precisato dalla stessa Manicardi, non devono indurci ad abbassare la guardia: “Nonostante quest’approccio terapeutico che si discosta dalle prassi di altri Paesi, segnando un punto a favore dei diabetologi italiani nel tentare di annullare le differenze di genere, anche in Italia il rischio cardiovascolare globale è maggiore nelle donne. Questo deve indurre non solo a proseguire sulla strada di un trattamento assolutamente paritario far uomini e donne, ma anche a intensificare la ricerca di genere sugli effetti dei farmaci, che spesso sono meno efficaci sulle donne”.
“Il percorso da compiere per arrivare a un’assistenza davvero a misura di donna è ancora lungo – commenta Nicoletta Musacchio, Presidente AMD – e l’Associazione Medici Diabetologi rinnova il suo impegno affinché le pazienti abbiano sempre le stesse opportunità di cura degli uomini. Ci teniamo comunque a sottolineare che la rete diabetologica italiana ha dimostrato di funzionare correttamente, anche alla luce di questa nuova analisi comparativa rispetto alle performance degli Stati Uniti. Il confronto con il dato americano deve anzi far riflettere su quanto questa rete rappresenti un patrimonio prezioso del SSN, che occorre far crescere e valorizzare”.