[dropcap]D[/dropcap]urante uno degli ultimi Festival di SanRemo una serata è stata dedicata ad una rievocazione di vecchie canzoni, anche precedenti l’origine dello stesso Festival. È così che ho avuto occasione di sentire alcune note (non molte in verità) di una canzoncina della seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso (debbo confessare che dire “secolo scorso” mi fa ancora una certa impressione).

Si trattava di “Se potessi avere mille lire al mese”. Un motivetto a tempo di fox trot con un tocco di swing, molto popolare ancora oggi, che ispirò un omonimo film con Alida Valli, e che sintetizzava la filosofia piccolo borghese della sua epoca. Questa canzone filastrocca fu una sorta di tormentone ante litteram. Il testo richiama il diffuso desiderio di realizzarsi economicamente, mille lire negli anni Trenta rappresentavano una discreta cifra, uno stipendio più che abbondante.

Ma siamo così sicuri che si tratti di una canzone di più di ottant’anni e non sia attuale? Se la consideriamo attentamente vediamo che in effetti basta cambiare una parola per avere una canzone modernissima: “Se potessi avere mille euro al mese”!

Mille euro al mese! Un sogno per una gran parte della popolazione italiana, pensionati al minimo, precari, operai in cassa integrazione, impiegati a tempo parziale, laureati che non trovano niente di meglio dei call center, e chi più ne ha, più ne metta.

Gli economisti sono incerti sul valore che oggi si potrebbe dare alle mille lire del tempo precedente la guerra. Una buona donna di servizio percepiva, in quell’epoca, ottanta lire al mese, e ne era scontenta. La spedizione di una lettera costava 50 centesimi (di lira) ed oggi costa 95 centesimi (di euro). Mille lire furono, per l’Italia impegnata a conquistare un impero ed impoverita fino alla fame, come un simbolo. Ad esempio nel 1937, al massimo della campagna demografica, il regime fascista offriva un assegno nuziale di 1.000 lire agli impiegati che si sposavano entro i trent’anni (per gli operai era di 700 lire ma dovevano coniugarsi entro 25 anni di età). L’assegno nuziale era corredato da un prestito, non inferiore a 1.000 lire né superiore alle 3.000, che era elargito a quanti guadagnavano meno di 12.000 lire l’anno.

Un’utilitaria, la Fiat Topolino, prodotta nel 1936 costava 8.900 lire. Ma gli impiegati e, con il maggior benessere degli anni 1934-1937, anche gli operai specializzati, usavano la bicicletta: la Volsit (sottomarca della Legnano) costava, nel 1938, 200 lire.

Chi aveva denaro poteva acquistare tutto: anche la felicità, anche l’amore della donna amata.

E proprio qui è il vero significato della popolarità della canzone. In quei tempi si era così atrofizzata la possibilità di sopravvivere degli italiani che essi sognavano una cifra impossibile per vivere alla grande

Ma allora a quale stipendio odierno corrispondono le mille lire di allora, una cifra sognata dalla stragrande maggioranza degli italiani?

Oggi, a distanza di circa 80 anni, ed a dieci anni da quando l’euro ha sostituito la lira (e molte altre valute europee) possiamo fare una valutazione di valore che non sarà scientificamente ineccepibile, ma darà ugualmente una comparazione empirica abbastanza precisa, proprio sulla base di questa semplice canzonetta. Se le mille lire del 1935/40 potevano soddisfare certe speranze e sogni, come i mille euro di oggi, è automatico che la lira dell’immediato ante guerra si sia svalutata di due mila volte, e il suo potere di acquisto di allora, oggi sia equiparato al potere di acquisto di un euro.

Alessandro Fabbri